Le règne animal, la recensione

Tra teen movie, fantastico spielberghiano e metafora sulla contemporaneità, Le règne animal è un ibrido mal amalgamato che non appassiona mai

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La nostra recensione di Le règne animal, presentato al Torino Film Festival 2023

Ci sono tante componenti a comporre l'ibrido alla base di Le règne animal, che prese singolarmente sono sicuramente più interessanti della loro fusione. La storia presenta un elemento fantastico in una realtà che per il resto è in tutto e per tutto simile alla nostra, con esseri "diversi" che sono chiara metafora delle comunità discriminate e reiette. Quadro che richiama Border, ma senza l'elemento più dark di quest'ultimo. I toni non cercano mai infatti il gore o la tensione, dirigendosi verso un'avventura dal sapore spielberghiano, tra il focus sul legame padre-figlio e l'amicizia tra il secondo, Emile, e una creatura. Il primo, però, interpretato da Paul Kircher, non è un ragazzino, ma un liceale all'ultimo anno e così per lunghi tratti l'intreccio scivola nel teen movie, tra le relazioni coi compagni, le cotte, le feste. Sarà poi il suo corpo a mutare improvvisamente, in un'altra chiara metafora, quella dell'adolescenza (l'odore che cambia, i peli sulla schiena che compaiono). Lo spunto forse più interessante del film, una versione maschile del body horror, solitamente legato al sesso opposto (da Blue My Mind a Red della Pixar), che però è anche quello meno approfondito. C'è tanta carne al fuoco dunque in Le règne animal, ma è il risultato complessivo a non convincere.

Nel prossimo futuro, l’umanità viene sconvolta da misteriose e inspiegabili mutazioni che trasformano gradualmente parte della popolazione in ibridi uomo-animali, considerati da molti una minaccia e rinchiusi in centri specializzati. Tra questi, anche la madre del protagonista, che all'inizio scappa col padre verso Sud per cercare una nuova vita. Le creature, nascoste nei boschi, cominciano a invadere i centri abitati e così Emile conosce un uomo-uccello che non riesce a volare.

Le règne animal, scritto e diretto da Thomas Cailley, mette in scena un'ambientazione distopica ma riprende certe atmosfere e snodi narrativi da film americano anni '80. Non ne ripropone però alcuna variazione e l'impressione è così di un'operazione fuori tempo massimo, senza il trasporto dei modelli ma solo una notevole ingenuità nel ritrarre dinamiche ormai consolidate nell'immaginario. I caratteri dei protagonisti sono poi piatti, tra un padre che cerca di proteggere il figlio e prova a ritrovare la madre, una poliziotta abile e sensibile tra tanti colleghi inetti. Al centro di tutto ci sono questioni famigliari, ma nel momento dello scioglimento sarà dunque difficile appassionarsi ai protagonisti, date queste premesse.

Ma problema ancora maggiore dell'opera è quando poi a prevalere è l'elemento che lo lega alla contemporaneità, ovvero la metafora sui "diversi" che si rivelano molto migliori di chi li disprezza. I dialoghi tra i personaggi sono infarciti di frasi come "Sono essere umani anche loro!" e spesso vertono sulla questione dell'accoglienza, fino a uno showdown che richiama i film sul colonialismo. Il messaggio per lunghi tratti prevarica il piacere del racconto, che per il resto procede senza sorprese verso un epilogo scontato e consolatorio.

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