Red Joan, la recensione
Confusissimo e determinato a raccontare una donna importante ma senza la capacità di renderla tale, Red Joan è una delusione
Lei nella sala dell’interrogatorio rievoca gli anni del dopoguerra e della guerra fredda, cosa fece e perché. Per farlo il film usa il gancio della radicalizzazione, parola e concetto moderni usati per esprimere un’idea e una dinamica antica: prendere qualcuno e fargli un lavaggio del cervello a fini politici. Chi ha radicalizzato (o come dice il film “politicizzato”) una donna che in quanto tale non aveva di che immischiarsi nella politica? Sono i rossi comunisti che vivevano nel Regno Unito, un mondo di uomini in cui le donne erano ben più che pedine. Questo dovrebbe raccontare Red Joan ma in realtà fallisce.
Tuttavia Red Joan è recitato con un tale massimalismo inutile, con una tale enfasi sui figli senza cuore, le riconciliazioni, sui costumi d’epoca e una tale serie di sottolineature sulle scene di suspense che sembra di essere guidati per mano, sembra che ci venga indicato ad ogni snodo che sentimenti provare e ci venga annunciato che sarà un momento forte o una scena sentimentale. Trevor Nunn fa di questo film sostanzialmente un percorso di santità della sua protagonista, vessata da anziana e non considerata da giovane, mai potente e decisiva nonostante poi nei fatti lo sia. Red Joan dovrebbe essere l’esempio di una donna agente segreto decisiva per il ‘900, perfetto simbolo di un periodo e un genere che solo in segreto poteva esserlo, e invece è una donna-vittima che subisce spinte da tutte le parti e sembra agita dagli eventi invece che protagonista di essi. Mentre cerca di sovvertire uno stereotipo odioso non fa che confermarlo.