Red Dot, la recensione

L’impressione è insomma quella che Red Dot abbia sprecato un buonissimo inizio thriller, una potenzialità di riflessione morale sulla violenza per darsi alle scelte più comode, rinunciando al potere del non detto, dell’evocazione.

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Red Dot, la recensione

Nel solco della tradizione svedese del crime più oscuro a cui ci hanno ormai abituato la letteratura e il cinema nordico, muovendosi tra quegli stessi paesaggi e quella violenza (spesso mostruosa e animalesca), Red Dot di Alain Darborg (GUARDA IL TRAILER) mette in scena un thriller a tratti convincente e appassionante ma che tuttavia perde la sua vocazione più dark per darsi al dramma più banale e forzato, perdendo così tutto ciò che aveva inizialmente seminato.

Nadja (Nanna Blondell) e David (Anastasios Soulis) sono una coppia appena sposata ma già in crisi, che per ritrovare un momento di pace si regala una vacanza in montagna. Durante una sosta alla pompa di benzina fanno un incontro con due fratelli ostili e parecchio inquietanti a cui rigano per sbaglio la macchina. Sperando di non farsi beccare, Nadja e David partono senza avvisarli: ma, ahimè, i due alloggiano proprio nel loro stesso albergo. Da quel momento non faranno che incontrarli e, per vendicarsi di un loro commento razzista, Nadja - ora di proposito - gli riga di nuovo la macchina. Quell’atto, ovviamente, non resterà impunito, e porterà a conseguenze estreme e inaspettate, che metteranno in discussione la loro relazione e la loro intera vita.

In tutta la sua prima parte il film tiene bene la componente thriller: tra il dispiegarsi di un’umanità intrinsecamente corrotta, caratterizzata da una violenza inspiegabile, e un’atmosfera di natura gelida e selvaggia che richiama a tratti I segreti di Wind River di Taylor Sheridan, Darborg mostra di sapere trattare la suspance, attraverso una regia fredda e imperturbabile come i suoi paesaggi, che non molla mai la presa sui suoi attori, sui loro gesti disperati (seppur parecchio goffi nel loro costante irrazionalità: praticamente, non prendono mai una decisione giusta per la loro sopravvivenza). Tuttavia appena nella storia irrompe la forzatura del trauma passato e del non detto, che viene didascalicamente spiegato e drammatizzato in ogni modo, ecco che la magia scompare e Red Dot diventa uno stucchevole melodramma. Praticamente, tutto un’altro film.

Più avanza verso il finale, più Red Dot sente infatti, malauguratamente, il bisogno di montare un apparato drammaturgico che sa di non necessario e già visto, pieno di cliché e rivelazioni che se dovevano sembrare commoventi sono invece involontariamente comiche per quanto ingenue. La casualità ha qui una componente troppo rilevante, che porta inevitabilmente a far cadere tutta la possibile verosimiglianza del racconto. Troppe coincidenze, quindi, ma anche troppa stupidità in gioco che ci impedisce in ogni modo di empatizzare con chiunque dei personaggi. Anzi, ce li fa proprio odiare.

L’impressione è insomma quella che Red Dot abbia sprecato un buonissimo inizio thriller, una potenzialità di riflessione morale sulla violenza per darsi alle scelte più comode, rinunciando al potere del non detto, dell’evocazione. Insomma, l’impressione è che nemmeno Red Dot creda in quello che fa vedere.

Cosa ne dite della nostra recensione di Red Dot? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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