Red Dead Redemption, la recensione

Red Dead Redemption torna con un porting per PlayStation 4 e Nintendo Switch. Varrà la pena tornare nel selvaggio west?

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Uscito nel 2010 su PlayStation 3 e Xbox 360, Red Dead Redemption è una vera gemma del mercato videoludico. Un capolavoro targato Rockstar Games (Rockstar San Diego, per essere precisi) che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo e dato nuova linfa vitale al franchise nato nel 2004 con Red Dead Revolver. Gli sviluppatori di Grand Theft Auto hanno preso quanto di buono presente nella loro serie principale, per poi modificarlo e adattarlo all’universo western, dando vita a qualcosa di unico. Qualcosa che è stato superato esclusivamente dal secondo capitolo, pubblicato nel 2018 e capace di consacrarsi come nuova pietra miliare del genere.

Sono ormai passati tredici anni dalla release originale di Red Dead Redemption e negli ultimi mesi si è spesso parlato di un possibile remake in arrivo. Voci di corridoio si sono accavallate, facendoci sognare una riproposizione del primo capitolo con la grafica del secondo, oppure con un comparto tecnico ulteriormente migliorato. Inutile dire che i giocatori più felici dei vari rumor sono stati quelli PC, ancora orfani della possibilità di vivere le avventure di John Marston.

Potete capire la delusione generale, quindi, quando il sette agosto Rockstar Games ha annunciato l’arrivo di una remastered di Red Dead Redemption esclusivamente su PlayStation 4 e Nintendo Switch. Il tutto con un prezzo lancio di circa 50 euro e con uno sforzo sul miglioramento tecnico quasi nullo. Una porting del tutto incapace di soddisfare l’attesa del pubblico. Eppure noi abbiamo voluto metterci sopra le mani per capire se vale davvero la pena fare nuovamente un salto indietro nel tempo al 1911. Siete curiosi di scoprire se il gioco vale la candela (e i vostri soldi)?

IL PRIMO AMORE NON SI SCORDA MAI

Red Dead Redemption racconta la storia di John Marston, un ex bandito deciso a ritrovare la sua vecchia banda per conto dei federali. Una missione tutt’altro che semplice e che rischia di porre fine alla vita di Marston prima di quanto ci si possa aspettare. Dopo essere stato ferito dal proprio dal suo migliore amico, John viene salvato in punto di morte da Bonnie McFarlane, ragazza che lo rimette in sesto e che lo aiuta ad ambientarsi nella frontiera tra gli Stati Uniti e il Messico. Grazie a lei e a un nutrito cast di comprimari, il nostro protagonista può così rimettersi in sesto e tentare nuovamente di raggiungere i suoi ex “soci in affari”.

Questo è ovviamente solo l’incipit di una storia che vive del carisma di John Marston, un personaggio strutturato e complesso, ben lontano dagli stereotipi del genere. Impossibile non rimanere affascinati dal mondo di Red Dead Redemption. Un mondo che ha un ruolo nella storia paragonabile a quello di un vero e proprio personaggio. Un mondo duro e aspro, ma in costante mutazione e in grado di spingere il giocatore in lungo e in largo per scoprire ogni singolo dettaglio. Il merito di questo successo, valido tanto oggi quanto nel 2010, è da affidare a Dan Houser (Grand Theft Auto V, L.A. Noire, Max Payne 3), Michael Unsworth e Christian Cantamessa, tre sceneggiatori di straordinaria bravura qui al loro massimo.

UN CLASSICO INTRAMONTABILE

Quando uscì nel 2010, Red Dead Redemption era un titolo al passo con i tempi. Un’opera in grado di dimostrare a tutti il potenziale degli open world e in grado di far vivere al pubblico un’esperienza a suo modo unica. Tredici anni dopo, inevitabilmente, la sensazione è un po’ diversa. Il gioco funziona, diverte e intrattiene comunque, ma è innegabile che la struttura delle missioni sappia di già visto e che la varietà delle ambientazioni non sia tra le migliori offerte dal mercato attuale. Lo stesso si può dire per gli spazi che compongono le varie aree di gioco, che risultano spesso vuoti e che danno vita a lunghe traversate in groppa al proprio destriero. Divertente, ma non troppo, insomma. Ancora una volta, però, ci sentiamo di elogiare il lavoro di scrittura fatto nelle quest secondarie, spesso interessanti quanto la campagna principale.

Ottimo, invece, il feeling dello shooting, che alterna meccaniche in stile GTA come le coperture con valide intuizioni come il Dead Eye, in grado di rallentare il tempo, permettendoci di prendere la mira con “calma”. I movimenti del personaggio, invece, ci hanno ricordato forse un po’ troppo la serie principale di Rockstar, non riuscendo così a nascondere i propri anni sul groppone. Nulla di davvero fastidioso, ma è innegabile il lavoro svolto negli ultimi anni nel campo delle animazioni dei vari protagonisti dei videogiochi.

In questa trasposizione è infine presente il DLC Undead Nightmare, che vede John Marston affrontare una temibile invasione zombie. Divertente negli intenti e capace di regalare qualche ora extra, si tratta di un contenuto aggiuntivo che siamo felici di ritrovare, ma che non riesce del tutto a tamponare l’assenza della modalità multiplayer.

PASSANO GLI ANNI, MA RIMANE LO STILE

Dal punto di vista tecnico, Red Dead Redemption appare senza dubbio invecchiato, ma mantiene lo stesso fascino del 2010. L’assenza di un qualsivoglia lavoro di restauro e lo scarso supporto al 4K rendono però la versione PlayStation 4 un mero compitino. Un vero peccato, soprattutto visto il potenziale di una trasposizione curata di questo capolavoro. Trasposizione che, a questo punto, difficilmente vedremo in futuro. Nulla da dire, invece, sul comparto sonoro, che vanta un cast semplicemente perfetto e una soundtrack meravigliosamente realizzata da Bill Elm e Woody Jackson.

Ma quindi, questo porting, merita di essere recuperato?

Red Dead Redemption rimane un capolavoro che dovrebbe essere giocato da chiunque. Se in questo modo i nuovi utenti PlayStation e i possessori di Nintendo Switch possono metterci sopra le mani, non possiamo che esserne felici. Certo, potremmo ragionare sul prezzo troppo alto e sulla svogliatezza di questa riedizione, ma non siamo qui per giudicare il publisher, bensì il singolo prodotto. E, a distanza di anni, Red Dead Redemption è ancora un prodotto che vale la pena recuperare. Questo nonostante l’invecchiamento del level design e del comparto tecnico, che non rendono l’opera Rockstar brillante come un tempo, ma che non ne compromettono di certo la fruizione. Lasciamo a voi, quindi, i ragionamenti sull'etica dell'azienda americana e la scelta se supportare o meno operazioni commerciali come questa, trattandosi di argomenti troppo soggettivi per essere discussi in questa sede.

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