Red, la recensione

Red, a prescindere da problemi strutturali del racconto, mostra una direzione proficua su cui la Pixar può lavorare, tra spunti nuovi e voci particolari con cui intraprendere avventure prima impensabili

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Red
La recensione del film d'animazione Pixar Red, disponibile su Disney+ dall’11 marzo

Toronto, 2002. Meilin "Mei" Lee ha 13 anni e un carattere forte e deciso. Ha ottimi voti, un gruppo di amiche inseparabili con cui condivide la passione per la boyband 4*Town (la cui hit nella versione originale del film è a cura di Billie Eilish e Finneas O' Connell) e sente di avere il mondo ai suoi piedi. Mei però ha una difficoltà: una madre iper-protettiva che ha paura di deludere. Questa relazione si trasforma per la prima volta in un conflitto da quando una mattina Mei si sveglia trasformata in una panda rosso: un’eredità femminile di famiglia che si manifesta quando si sentono emozioni forti, ma che può essere controllata. In un percorso di accettazione e di scoperta verso l’adolescenza, racchiuso tra i muri di casa (ovvero un tempio, l’attività di famiglia), i banchi di scuola e il piccolo tragitto che li separa, Mei imparerà a conoscere le sue emozioni e capirà cosa vuol dire diventare grandi.

Ad oggi non sorprende vedere un film Pixar come Red: da quando lo Studio con Luca ha concesso grande spazio e fiducia all’ispirazione altamente personale dei suoi autori-animatori si è attuata una svolta autoriale e biografica inedita. Fortemente legato alla biografia della sua creatrice Domee Shi (autrice del cortometraggio Bao, sempre sulla relazione madre-figlio, di cui questo film è in un certo senso un ampliamento)Red è infatti un film decisamente “piccolo”, minimalista nel respiro del racconto, compresso tra pochi ambienti, spesso ripetuti.

Questa riduzione di tempi e spazi non è in sé un errore (il percorso di minimalismo intrapreso da Pixar con Soul dimostra infatti di poter funzionare, per quanto avesse inizialmente spiazzato): eppure in questa storia di formazione che racconta il rapporto madre-figlia, la sindrome del nido vuoto e il delicato passaggio dall’infanzia alla prima adolescenza, il racconto ha una direzione confusa, un andamento disorganizzato e un esito poco soddisfacente. 

Che peccato, perché Red racconta invece piuttosto bene i suoi personaggi - per come li caratterizza, li anima, li fa vivere nei loro ambienti. Nelle scenette in cui Mei per la prima volta si guarda allo specchio e si chiede cosa sta succedendo (al suo corpo, alle sue emozioni), o in cui si racconta quel senso di disagio di fronte al comportamento dei propri familiari, quelle emozioni vengono fuori in modo cristallino, divertente, brillante. Ma si tratta appunto di scenette, quadri a sé (estrapolabili come piccoli ritratti), che funzionano da soli a prescindere dalla direzione generale del film. Nel lungo corso, invece, Red è un vero e proprio caos di organizzazione narrativa perché continua a spostare il suo focus tematico e le sue energie ogni volta su qualcosa di diverso (prima la “cura”, poi altre cose), cambiando spesso passo e ritmo con l'esito di stancare e confondere lo spettatore su dove voglia arrivare. Red non ha insomma quel senso di avventura e di storytelling profondo che le storie Pixar sanno avere (a prescindere dal loro ordine di grandezza).

L’animazione dei personaggi e il modo in cui fluttuano e si scaraventano qua e là ha la consistenza comica talvolta della slapstick (per movenze ed espressioni cartoonesche, esagerate), talvolta pure dell’anime per come questi spazi vengono gestiti e ciò che i personaggi possono fare in essi (trasformarsi, saltare molto in alto, presentarsi con scritte e decorazioni) con un gusto che rivela un panorama animato di riferimento estraneo, nuovo.Si tratta al più di piccoli dettagli, ma sono indizi estetici che suggeriscono un gusto leggermente più personale che spinge un passettino più in là l’identità dello Studio verso qualcosa di variegato, multiplo, diverso.

In un film Pixar come Red che prende le mosse dal biografismo di un autore, questa esigenza di personalizzazione talvolta è totalmente coloristica (il fatto che sia ambientato nel 2002 per esempio non ha nessun valore per la storia) ma, a prescindere dai problemi strutturali del racconto, mostra una direzione proficua su cui lo Studio può lavorare, tra spunti nuovi e voci particolari con cui intraprendere avventure prima impensabili.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Red? Scrivetelo nei commenti!

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