Record of Ragnarok (prima stagione): la recensione
Se siete in cerca di un battle shonen particolare, allora Record of Ragnarok potrebbe essere la serie che fa per voi
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Se siete in cerca di un battle shonen particolare, con una formula diversa dal solito, allora Record of Ragnarok potrebbe essere la serie che fa per voi. Tratto dal manga di Shinya Umemura e Takumi Fukui, questo anime distribuito da Netflix azzera la trama per concentrarsi su un singolo torneo fatto di scontri continui. La premessa è sufficientemente alta: uno scontro epocale tra divinità e esseri umani per decidere se la razza umana potrà continuare a esistere o se dovrà essere cancellata per sempre. Una volta che ci si abitua alle tantissime digressioni, l'interesse per la storia sale, e Record of Ragnarok riesce a sostenere il suo intreccio inesistente con senso di epica continua e uno stile esagerato.
La storia è tutta qui e non c'è nient'altro. Nessun viaggio dell'eroe, nessun allenamento per potenziarsi, nessun cattivo che emerge e che deve essere sconfitto. La particolarità della serie è che tutto è già successo e che tutti i campioni degli dei e degli uomini sono figure che hanno già vissuto e costruito la loro leggenda. Sono figure di vario genere: il pantheon, come in American Gods, prevede tutte le divinità esistenti (da Zeus a Shiva a Odino) mentre gli umani sono un insieme di figure storiche, quasi leggendarie o religiose (i guerrieri Lu Bu e Sasaki Kojiro, ma anche Adamo). Ogni scontro prevede delle digressioni che ci raccontano tramite flashback le due figure che si scontrano, o almeno il modo in cui la serie le personalizza e le racconta.