Recensione - Resident Evil: Operation Raccoon City - Dalla parte dei cattivi

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Quando si distoglie lo sguardo dallo sfondo e si comincia a sparare, nascono i problemi

Recensito lo sparatutto di Slant Six Games

I bad guys esercitano sempre un grande fascino sui videogiocatori. Trovarsi “dalla parte del cattivo” è un’esperienza insolita e intrigante, soprattutto nel caso le medesime avventure siano già state vissute nei panni degli eroi di turno.

Proprio per questo, Resident Evil: Operation Raccoon City aveva destato, perlomeno ai tempi dell’annuncio, un certo interesse presso i fan della storica saga videoludica. Purtroppo, il lavoro di Slant Six Games è riuscito a sprecare quasi tutte le buone idee alla base con un gameplay lacunoso, mal bilanciato, poco testato, messo insieme alla bell’e meglio.

La storia è quella del Wolfpack Team, squadra speciale dei servizi di sicurezza Umbrella incaricata di cancellare ogni possibile traccia lasciata dalle sperimentazioni sul T-Virus, eliminando qualunque testimone o prova sensibile nel percorso. Una trama semplice ma arricchita dal fascino insito nell’incontrare alcuni personaggi chiave della storia e nel riattraversare le medesime location apprezzate dai fan nei capitoli principali della saga, dalla centrale di polizia di Raccoon City alle vie della città, con l’insegna del Kendo Gun Shop ben visibile sullo sfondo. Se solo il comparto grafico non soffrisse di una densità poligonale risibile, texture slavate e illuminazione approssimativa, l’effetto nostalgia potrebbe bastare da solo a coprire almeno metà del prezzo d’acquisto, perlomeno per i fan accaniti.

Purtroppo, quando si distoglie lo sguardo dallo sfondo e si comincia a sparare, nascono i problemi. Il sistema di coperture, fondamentale per uno sparatutto in terza persona che si concede ben poche distrazioni dallo shooting, si rivela scomodo e approssimativo. Per quanto l’idea di mettere il personaggio al riparo semplicemente muovendosi verso una barriera sia già stata utilizzata con relativo successo in altri titoli di genere, l’implementazione operata da Slant Six Games è quasi del tutto fallimentare, portando il giocatore a coprirsi senza desiderarlo oppure a non riuscirvi quando sarebbe invece necessario.

Se già da solo questo difetto è sufficiente a gettare una minacciosa ombra sulla fruibilità del gameplay, le meccaniche shooting danno il colpo di grazia. Di per sé le armi restituiscono un feeling tradizionale, quello che ci si aspetta dal consueto assortimento di fucili d’assalto e a pompa, mitragliette, pistole e lanciarazzi. Il problema nasce semmai quando i proiettili raggiungono i bersagli: che si tratti di zombie o di forze speciali avversarie, gli impatti non sono credibili, spesso lasciando intatti i corpi dei nemici oppure generando reazioni in ritardo rispetto alle raffiche (come l’occasionale perdita di un arto da parte dei non-morti, visibile solo 1 o 2 secondi dopo aver colpito), senza alcuna simulazione di potere d’arresto.

Dal canto suo, il level design non fa molto per ovviare a queste gravi mancanze. Di stanza in stanza le missioni della campagna procederanno senza troppe sorprese, presentando coperture collocate in maniera banale sulle mappe di gioco, percorsi poco intuitivi (tanto che gli sviluppatori sono stati costretti a piazzare ovunque un gigantesco indicatore di obbiettivo-missione) e boss fight parzialmente “guidate” al limite dell’ingiocabile. Una in particolare mette il o i giocatori a confronto con un gigantesco boss all’interno di un lungo corridoio, senza dar loro la possibilità di voltarsi per sfuggire alle offensive del nemico. Scelte incomprensibili come questa tendono a rovinare anche i pochi momenti godibili delle missioni.

La lista di punti negativi non finisce purtroppo qui, estendendosi al comparto intelligenza artificiale. Tra nemici che non riconoscono le granate (e se le tirano spesso tra i piedi), compagni che non rianimano il giocatore quando è a terra incapacitato e vanno all’assalto in punta di coltello ignorando del tutto le coperture e il tiro dalla distanza, l’esperienza si fa via via sempre più frustrante all’aumentare della complessità dei livelli, senza contare che gli avversari si faranno sempre più resistenti al fuoco delle armi automatiche.

Giocare in cooperativa eviterà quantomeno le ingiurie contro al stupidità dei compagni di squadra ed esalterà il sistema di classi (il personaggio può essere scelto a inizio partita da un roster piuttosto vasto, comprendente alcune tipologie classiche di combattente tra cui il fante, il ricognitore, l’esperto di armi pesanti e così via), ma non salverà il gameplay, piagato dalle molte mancanze di cui sopra. Peraltro, il matchmaking non si è mostrato molto reattivo durante le nostre prove, rendendo quasi necessario coinvolgere degli amici dalla propria lista per iniziare una partita in tempi utili.

A fronte di una lista di difetti tanto lunga e corposa, viene da chiedersi quale potrebbe essere almeno un buon motivo per considerare l’acquisto di Resident Evil: Operation Raccoon City. Fermo restando che, mancanze o meno, rimane un titolo espressamente dedicato ai fan della saga di riferimento, nello sgangherato gameplay qualcosa si salva: ci sono sequenze meglio riuscite della media, qualche abbozzo di tattica di gruppo che si rivela effettivamente piacevole da utilizzare e un comparto multiplayer competitivo dotato di un inaspettato guizzo creativo. Le modalità Survivor e Biohazard sono le migliori del pacchetto e riusciranno a divertire per qualche ora, ma la relativa scarsità di mappe non permetterà all’esperienza di durare per molto.

Vale la pena spendere qualche parola anche per il sistema di crescita dei personaggi, tutto sommato abbastanza completo, che con la spesa di punti esperienza accumulati in campagna e in multigiocatore permette di acquistare piccoli bonus attivi e passivi e equipaggiamento via via migliore.

Nonostante il buon concept e gli spunti interessanti di cui sopra, Resident Evil: Operation Raccoon City è sotto molti punti di vista un progetto mal sviluppato, rilasciato senza la minima preoccupazione per la soluzione di alcune evidenti falle nel level design e nell’intelligenza artificiale. Questo rende sostanzialmente impossibile consigliarlo, sebbene i fan sfegatati della serie potrebbero trovare qualche buona ragione per riattraversare le location tanto amate e incontrare nuovamente alcune delle stelle del firmamento Capcom.

Tipologia di Gioco:

Resident Evil Operation Raccoon City è uno sparatutto in terza persona fortemente votato alla cooperativa: fino a quattro giocatori potranno unirsi online, scegliere un personaggio della squadra e farlo crescere sia con i punti esperienza guadagnati durante la campagna signolo giocatore, sia con quelli accumulati nelle modalità multigiocatore competitivo. La storia si intreccia con i capitoli originali della serie, ma non rappresenta un tassello narrativo fondamentale per la saga.

Come è Stato Giocato:

Completata la campagna singolo giocatore (circa 6 ore a livello normale e difficile, sia in compagnia di altri giocatori sia in solitaria), abbiamo provato le varie modalità multigiocatore, purtroppo senza trovare molti partecipanti attivi sulle mappe.

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