Recensione - Resident Evil 6 - Action-horror

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Questo sesto capitolo poteva essere il miglior Resident Evil dell’ultima generazione e di un pezzetto di quella precedente

Recensito il ritorno della saga action/horror di Capcom!

Poche serie videoludiche si sono trasformate così tanto nel corso degli anni come quella di Resident Evil, e, giunto al sesto capitolo “ufficiale”, il fu survival horror si presenta definitivamente mutato in qualcosa di diverso. O forse diverso è la parola sbagliata, dato che si uniforma quasi completamente ai canoni dello sparatutto in terza persona. Tranne per quella strana tendenza a centellinare le munizioni a disposizione del giocatore, vai a sapere perché.

L’intento degli sviluppatori è comunque chiaro. Il brand piace ancora nonostante l’età. Attenzione, IL BRAND, non il gioco originale. Al cinema fa soldi, nonostante la qualità molto discutibile delle pellicole. Perché dunque non continuare su questa strada, e cercare di allargare il bacino d’utenza? E come si allarga il bacino d’utenza in ambito videoludico?

Se visto come il “paio d’occhiali” con cui i giapponesi tentano di mettere a fuoco la loro opinione sui gusti occidentali medi, Resident Evil 6 ha un sacco da insegnare. Non passano cinque o sei minuti senza che esploda qualcosa di grosso (ma grosso sul serio, come un intero quartiere) o che uno dei personaggi non si lasci andare a qualche battuta/smanceria che farebbe da perfetto contorno per il film d’azione medio made in USA. In questo gioco di citazioni e arruffianamenti, purtroppo non c’è spazio per l’umorismo (almeno quello voluto), dato che tutti sembrano prendersi sin troppo sul serio. E tutto questo ci potrebbe anche andare benissimo. Che il brand sia cambiato ormai lo sappiamo da tempo (a leggere certi pareri/recensioni sembra quasi che non ci sia GIA’ stato un Resident Evil 5, e volendo anche un 4). Che i giapponesi abbiano più probabilità di fallire quando tentano a tutti costi di incontrare i gusti occidentali è risaputo. Insomma, ci bastava che fosse divertente. Di sicuro, è corposo, con quattro campagne distinte, circa 20 ore necessarie al completamento e sette personaggi giocabili (torna infatti la cooperativa a due giocatori, sia online, sia split screen).

Purtroppo però, Resident Evil 6 non sempre riesce ad essere divertente.

Si spara a tutto ciò che si muove, e si fa ben poco altro, se non continuare a sparare mentre qualche NPC si occupa di altro e occorre difenderlo. Poi però le munizioni finiscono, e si comincia a correre in tondo, chiedendosi perché, perché, perché, menando fendenti alla cieca con la mossa da corpo a corpo, che poi si scopre essere sin troppo efficace contro quasi tutti i nemici, e ci si chiede di nuovo, perché, perché, perché. La salute finisce, si cerca di curarsi, e ci sono di nuovo le erbe da combinare, ma questa volta sono inserite in un menu ancora più scomodo e brutto a vedersi, e ancora perché, perché, perché.

Non fosse ancora chiaro, "perché" è una domanda che ci siamo posti molto spesso giocando a Resident Evil 6. Perché i nemici imbracciano quasi tutti un fucile. Perché muoversi negli ambienti è a volte così dannatamente difficile. Perché a volte le texture sembrano… mancare. Perché il boss ci ha colpito anche attraverso la parete. E così via.

D’altra parte, se Resident Evil 6 fosse un gioco del tutto trascurabile, i perché non avrebbero motivo di affollarsi nella mente del giocatore. Il motivo per il quale invece fanno costantemente eco alle sparatorie, è da ricercarsi nella capacità del gioco di intrattenere, perlomeno a tratti, con sequenze davvero riuscite. Di quelle che si ricordano anche settimane dopo. Anche la struttura narrativa fa il suo, intersecando quattro “campagne” apparentemente scisse e autoconclusive in un quadro in realtà molto più grande, riuscendo a creare intersezioni molto interessanti, e un fascino indiscusso nell’osservare i pezzi del puzzle andare lentamente al loro posto.

Peccato che a fare da contraltare a questi aspetti molto riusciti ci siano un gran numero di “riempitivi”, ore di gioco sostanzialmente sprecate tra sparatorie prolungate e poco credibili, scontri con i boss non tutti riusciti, sequenze di guida quantomeno discutibili. Peccato anche che le potenzialità offerte dalle trame intersecate non siano state esplorate a fondo, ad esempio integrando un sistema di scelte/conseguenze in grado di influenzare la trama (Resident Evil 2 e lo Zapping System, per intenderci). Le stesse intersezioni tra le trame, in cui fino a quattro giocatori (ossia due coppie) possono interagire online nella stessa mappa, finiscono per non rappresentare dei veri e propri “punti alti” del gameplay e della trama come sarebbe lecito aspettarsi.

Alti e bassi produttivi che finiscono per riflettersi in ogni aspetto del gioco, dal sistema di controlli e coperture, spesso lacunoso e mal rifinito, all’aspetto grafico, capace di notevoli dettagli affiancati ad aspetti completamente non rifiniti, alla colonna sonora, perlopiù banale e ripetitiva.

La divisione in campagne è stata opportunamente (e intelligentemente) sfruttata per offrire esperienze leggermente diverse tra loro. “Leggermente”, perché sebbene la natura spiccatamente più militare di quella con protagonista Chris Redfield potrebbe far pensare a un ritorno a tinte più horror e classiche nelle altre, non è esattamente così. Alla fine, lo spara-spara la fa sempre da protagonista, a prescindere dal contesto e dal personaggio. Le uniche campagne a distinguersi, almeno in parte, sono quelle dedicate rispettivamente a Leon e ad Ada Wong. La prima, capace in alcuni (brevi) momenti di riportare alla mente inaspettate nostalgie da survival horror, la seconda (più un bonus che una vera e propria campagna, e solo single player) dotata di alcuni dei livelli più interessanti dal punto di vista del design (vedasi l’incipit). Dove tutte le campagne funzionano comunque al meglio è nelle rispettive boss fight conclusive, tutte notevoli per setting e meccaniche. Il problema, come ormai chiaro, è ciò che sta nel mezzo.

Per rispondere alla grande domanda, ossia “perché”, è evidente il motivo per cui Capcom abbia deciso di trasformare Resident Evil in gioco di pura azione, e prolungate discussioni in tal senso rischiano di annoiare più che servire effettivamente a qualcosa. Ma la vera domanda a cui una risposta non sappiamo trovare è, perché tanta cura in alcuni dettagli, e così poca in altri. Rimane inspiegabile, e rimane un bel peccato.

Resident Evil 6 vi piacerà se la svolta action non vi ha fatto venire la bava alla bocca, e se sceglierete di giocarlo in compagnia di un amico. Vi farà persino ridere in alcuni momenti, sebbene non esattamente per “meriti” suoi. Vi farà anche arrabbiare, e chiedere perché perché perché. Di certo, ricambierà il vil denaro con molte potenziali ore di gioco, sebbene non certo tutte dotate della medesima qualità. Non è un cattivo gioco, non è certo un capolavoro. Ma poteva. Poteva essere il “miglior Resident Evil” dell’ultima generazione e di un pezzetto di quella precedente. Non è così, probabilmente a causa di una direzione non sufficientemente autorevole e attenta da supportare le enormi ambizioni del progetto.

Tipologia di Gioco:

Deposta (da tempo) qualunque traccia di survival, Resident Evil 6 è un action a tinte horror, dotato di una trama complessa divisa in tre capitoli principali, con due protagonisti ognuno, e uno bonus, con una sola protagonista. La cooperativa per due giocatori (fino a 4 in alcune brevi sequenze) è supportata sia online sia in split screen.

Come è Stato Giocato:

Abbiamo testato la versione Playstation 3 fornitaci dal publisher italiano Halifax per circa 20 ore, completando tutte le campagne e testando ampiamente l'online.

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