Recensione - Paperbound

Un altro brawler game si aggiunge alla lista: la recensione di Paperbound

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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È probabile che la nostra percezione sia influenzata da un pizzico di patriottismo, ma è dall’uscita dell’italianissimo In Space We Brawl che i brawler games, esclusivamente e tassativamente offline, sembrano diventati il genere di riferimento di una miriade di piccoli team di sviluppo in cerca di fortuna. Nessun bisogno di investire tempo e denaro per amalgamare un contesto narrativo coerente e credibile, nessuna infrastruttura di rete da gestire e amministrare, nessuna preoccupazione su longevità ed effettivo quantitativo di contenuti offerti: effettivamente giochi di questo tipo, ad uno sguardo disattento e superficiale, promettono grandi guadagni con poca fatica.

Il campo di battaglia, tuttavia, inizia ad essere fin troppo affollato se si pensa che, oltre al sopracitato prodotto di Forge Replay, a rompere gli indugi su PlayStation 4 e PC ci aveva già pensato il divertentissimo TowerFall Ascension oltre un anno fa. La piazza è affollata, la concorrenza agguerrita come non mai. Non basta puntare sul concept, non è sufficiente una maliziosa strizzatina d’occhio ai nostalgici e allergici alla rete: servono idee valide, un design delle arene d’impatto e meccaniche che coniughino con equilibrio immediatezza e profondità.

[caption id="attachment_142555" align="aligncenter" width="508"]Paperbound screenshot 1 Tra i personaggi sbloccabili c'è anche Juan del bellissimo Guacamelee![/caption]

Paperbound, purtroppo, non fa nulla di tutto ciò. Si accontenta, si limita, si castra. Sembra una gustosa demo, un flash game gratuito, una promettente alfa. C’è tutto, eppure non lascia mai il segno; diverte, ma fino a un certo punto; tenta di darsi un tono, riuscendo solo nell’accidentale impresa di far rimpiangere congeneri ben più riusciti.

Mancanza di tempo, voglia o fondi d’investimento? L’art design ci fornisce qualche indizio. C’è qualcosa di Puppeteer, un lontanissimo eco di Braid, persino una spolverata dei lungometraggi animati di Tim Burton. Dominano le ombreggiature, le linee complesse, le sfumature. Personaggi tratti dalla mitologia si mescolano a figure che richiamano più o meno direttamente avatar di altre produzioni videoludiche (VVVVVV per esempio). Si ravvisa una certa audacia nell’accostare stili piuttosto distanti tra loro (alcune arene sfoggiano colori e tratti propri del Ukiyo-e, altre sono ambientate all’interno di piramidi egizie), tutti caparbiamente amalgamati e accordati da tinte uniformi. Ci troviamo di fronte a un efficace lavoro di copia e incolla: gli artisti di Dissident Logic hanno composto un collage, triturando e riciclando elementi visivi già visti altrove, senza per questo scadere nel banale o nell’eccentrico a tutti costi.

"Se i brawler game hanno successo solo quando in bilico tra la frenesia più estrema e il tatticismo intransigente, Paperbound è mortalmente sbilanciato verso il primo dei due fattori."

Anche il gameplay cerca di mescolare feature prese in prestito, riproponendo il feeling sperimentato da altri esponenti del genere, senza tuttavia raggiungere un’identica efficacia. Se i brawler game hanno successo solo quando in bilico tra la frenesia più estrema e il tatticismo intransigente, Paperbound è mortalmente sbilanciato verso il primo dei due fattori. Abbandonati raggi laser e frecce, vengono privilegiati gli scontri all’arma bianca: basta un fendente per essere costretti al respawn immediato. In alternativa alla spada, si può ricorrere al lancio delle forbici, limitate di numero e ideali per eliminazioni dalla distanza, o alle bombe a inchiostro: non plus ultra per uccisioni multiple. Il ventaglio dei comandi impartibili al proprio avatar si conclude con il pulsante che vi permetterà di cambiare la gravità soggettiva del personaggio, così da poter spostare istantaneamente lo scontro sul soffitto o lungo le pareti. Si tratta dell’unico tocco di classe che si concede la produzione e per la prima dozzina di partite funziona adeguatamente.

[caption id="attachment_142556" align="aligncenter" width="508"]Paperbound screenshot 2 Alcune arene riescono ad esaltare la feature legata alla gravità del personaggio, ma è troppo poco.[/caption]

Sulle prime si resta impressionati dalla frenesia degli scontri, vivacizzati di continui ribaltamenti del fronte di scontro in ogni direzione possibile. Finché si gioca con i bot, nelle arene meno arzigogolate, si riesce persino a imbastire un minimo di strategia tra ritirate strategiche e un saggio sfruttamento della conformità dello scenario. Non appena si invitano i propri amici a casa e si opta per un’ambientazione zeppa di ostacoli e trappole letali, ogni velleità tattica viene mortificata e il tutto si risolve in una gara di riflessi. Tentare un approccio ragionato è futile quando manca un modo per difendersi. Allo stesso modo, costretti al moto perpetuo e ad attaccare a testa bassa, pur con tutta l’esperienza accumulata, si tratterà pur sempre di pura rapidità d’esecuzione.

La completa assenza di qualsivoglia sovrastruttura ruolistica, se può avere senso nella misura in cui non si vuole avvantaggiare eccessivamente il giocatore navigato, d’altro canto finisce per appiattire l’esperienza. Gli avatar non godono di abilità specifiche, né in alcun modo potrete diversificare l’approccio alla battaglia: vince chi attacca per primo, chi riesce ad orientarsi nel vortice di membra mozzate, chi ha più fortuna. A poco servono le modalità alternative al classico deathmatch in solitaria o a squadre. Anche nel caso in cui dovrete catturare la bandiera nemica o eliminare il target prefissato per accumulare punti e vincere la partita, la sostanza resta fondamentalmente invariata.

Non ne avremo mai conferma molto probabilmente, ma Dissident Logic deve essere rimasta a corto di tempo durante lo sviluppo di Paperbound. Dopo aver degnamente curato l’art design, sono andati a risparmio per quanto concerne il gameplay, confezionando un brawler game piatto e ripetitivo già dopo pochissime partite. I motivi validi per cui acquistarlo crollano drasticamente quando si considerano prodotti dello stesso genere ma di ben altra caratura quali i citati In Space We Brawl e TowerFall Ascension.

Raffazzonato e poco profondo: Paperbound vi divertirà solo per una manciata di partite. Potrà attrarre solo qualche videogiocatore occasionale, affascinato dal ritmo forsennato degli scontri, ma la noia non tarderà ad impossessarsi anche di loro.

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