Recensione - The Order: 1886

Dopo mesi di anticipazioni e critiche premature, il nostro giudizio definitivo su The Order: 1886

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


Condividi

C’è una scena di The Dreamers piuttosto famosa in cui i tre protagonisti si sfidano ad attraversare il Louvre nel minor tempo possibile. Un gesto dissacrante, artistico per certi versi, certamente politico, che ribalta completamente la consueta (e socialmente accettabile) fruizione di un museo. Nei videogiochi esiste qualcosa paragonabile, seppur alla lontana: gli speed run. Mere esibizioni dell’abilità (dell’arte) dell’utente, tralasciano ed escludono qualsiasi ambito del prodotto che non sia primariamente e prettamente ludico. Non ci si ferma ad ammirare un panorama: si corre a perdifiato sino ai titoli di coda.

The Order: 1886 con tutto questo non c’entra assolutamente niente. È un gioco che anacronisticamente, nell’era dei Vine e della fibra ottica, pretende una lenta, progressiva e paziente immersione da parte dello spettatore. Esige un atto di fede, fornendo solo in piccole dosi gli ingredienti che insaporiscono un contesto narrativo mastodontico e strabordante per quantità di richiami, rimandi e citazioni. Richiede un riadattamento delle pratiche videoludiche che in qualche modo, piuttosto che proiettarci definitivamente nella “next-gen”, si caricano di suggestioni antiche e ormai dimenticate. The Order 1886, insomma, è un coraggioso esperimento destinato a spaccare critica e pubblico, destare facili entusiasmi, suscitare precipitosi giudizi.

Per apprezzare lo sforzo creativo di Ready at Dawn bisogna accettarne i molti compressi

Per apprezzare lo sforzo creativo di Ready At Dawn bisogna accettarne i molti compressi e sposare la filosofia di fondo di quello che, a tutti gli effetti, è solo il primo capitolo di un’epopea ben più ampia. Bisogna fidarsi che le molte questioni rimaste in sospeso verranno riprese in seguito. Bisogna rassegnarsi all’idea che il gameplay è stato sacrificato all’altare di un art design sontuoso e sfarzoso in ogni minimo dettaglio.

Protagonista della vicenda, del resto, è una città intera. Londra è una metropoli avveniristica, che si affida all’industria, all’energia elettrica, ai dirigibili per espandere un’umanità tanto proiettata nel futuro, che si riempie la bocca di ideali quali libertà e uguaglianza, quanto corrosa dagli stessi cancri che infettano la nostra razza sin dall’origine. La sete di potere, le smanie prevaricatrici e le lotte interraziali non si limitano a rifrangersi nella secolare corsa al Nuovo Mondo, in un contesto politico torbido e agitato da moti rivoluzionari. Sotto gli occhi di una Regina costantemente chiamata in causa, ma totalmente assente dalla scena, la città mostra i suoi molteplici volti con tremenda violenza: i sobborghi puzzano delle nefandezze di una società ghettizzata e marginalizzata, i salotti delle classi benestanti scoppiano di esotici suppellettili e di stordenti decorazioni manieristiche e barocche.

[caption id="attachment_139935" align="aligncenter" width="600"]The Order: 1886 screenshot The Order: 1886 -screenshot[/caption]

Questo è il maggior merito dell’art design: parlare, prima che tramite i personaggi, attraverso una Londra viva, straripante di storie raccontate a metà e parzialmente leggibili nei vicoli degradati dei sobborghi o nei tanti documenti e giornali reperibili in giro per le ambientazioni.

Sir Galahad, in questo contesto narrativo profondissimo, si rivela un protagonista all’altezza delle aspettative. Nonostante la fin troppo violenta (per non dire surreale) evoluzione nella seconda parte dell’avventura, è un personaggio credibile, affascinante, fedele sino alle estreme conseguenze ai precetti dell’Ordine di cui è parte. I cavalieri di Re Artù, con l’aiuto della tecnologia e della Linfa Nera, panacea che guarisce da qualsiasi ferita e dona una longevità inimmaginabile, combattono da secoli i Lycan: razza dissimile nell’aspetto esteriore, ma non certo negli istinti violenti e sinistri.

Gli strumenti narrativi a cui si sono affidati gli sceneggiatori di Ready at Dawn sono talmente coerenti e ferrei che a fatica si comprendono i meccanismi che muovono e alimentano l’universo immaginifico dell’IP. Nessuno “spiegone” giunge in aiuto del fruitore, nessun dialogo fuori posto, nessuna didascalia: non senza difficoltà l’utente ricostruirà l’ossatura della trama, dovendosi arrendere all’idea di non poter comprendere ogni riferimento che, molto probabilmente, sarà ripreso nei futuri episodi della saga.

L’esperienza, dal punto di vista puramente artistico, trova come catalizzatore un impianto grafico-sonoro inarrivabile per qualsiasi altra produzione sbarcata su console. L’efficacissima regia digitale mette in mostra i dettagliatissimi modelli poligonali dei personaggi, graziati da espressioni facciali e animazioni estremamente realistiche. Il motore grafico non conosce rallentamenti anche a fronte di effetti luce in tempo reale strepitosi e ambientazioni affollatissime di dettagli e oggetti. Certo, si lamenta la scarsa interazione degli scenari, balzano all’occhio le già criticate “bande nere” ai bordi dello schermo, alcuni riflessi sono poco credibili, ma si tratta di piccole sbavature che vengono fagocitate in fretta dal resto.

[caption id="attachment_131055" align="aligncenter" width="600"]The Order: 1886 E3 Screenshot The Order: 1886 - screenshot[/caption]

A tanta magnificenza artistica, a un tale coraggio e capacità nel creare un contesto narrativo così credibile e compatto, non corrisponde altrettanta maestria nell’architettare un gameplay appassionante e incalzante. Sarebbe inutile e nocivo paragonare The Order: 1886 a Gears of War: tanto è il gap che li divide dal punto di vista della fluidità, del ritmo e del level design, davvero ai minimi termini nella creatura di Ready at Dawn. Il genere di riferimento è lo stesso, gli sparatutto in terza persona, ma è proprio da questo punto di vista che bisogna accettare i compromessi più evidenti. Se la saga partorita dalla fervida mente di Cliff Bleszinski si alimentava di una spettacolarità d’impatto e adrenalinica, i combattimenti ce vedono coinvolto Sir Galahad toccano corde diverse. L’attenzione è sul dettaglio: sulla necessità di direzionare con estrema precisione il fuoco, sull’uso saggio e ragionato delle armi, sul feedback estremamente fisico, violentissimo, che si riceve ad ogni colpo esploso.

È vero, The Order: 1886 è un gioco breve, ma correndo anche il Louvre lo si attraversa in fretta

I limiti, purtroppo, sono evidentissimi e innegabili. Gli scontri con i Lycan fanno quasi tenerezza per la totale incapacità di veicolare battaglie minimamente avvincenti. Lo scontro che sancisce l’epilogo dell’avventura è riciclato da un precedente alterco con un altro mezzosangue. Tante, troppe meccaniche sono appena accennate o introducono a fasi di gameplay solo vagamente sviluppate. L’analisi degli oggetti reperiti nelle ambientazioni è fine a sé stessa, per esempio, e le fasi stealth, non fanno in tempo a diventare intriganti che si consumano.

Non ultima, l’annosa questione sulla longevità.

È vero, The Order: 1886 è un gioco breve, ma correndo anche il Louvre lo si attraversa in fretta. Del resto la produzione Sony è proprio paragonabile al museo francese, privo però della Gioconda: è un titolo in alcune parti bellissimo, in altre meno, comunque interessante e meritevole di una possibilità (magari acquistandolo a un prezzo scontato). Manca il genio, il quid, il tocco di classe: il capolavoro di Leonardo non c’è e non lo si trova manco cercandolo con attenzione tra i tanti scorci e panorami (bellissimi) di Londra. Per questo motivo rappresenta l’ennesima occasione mancata di questa next-gen che fatica a ingranare. Un titolo più bello da vedere sicuramente, ma anche da giocare a patto di essere pronti a soprassedere su qualche sbavatura di troppo.

Continua a leggere su BadTaste