Recensione - Mad Max

Non sarà Fury Road, ma poco ci manca: la recensione di Mad Max

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Mad Max non ha la stessa potenza espressiva dell’adrenalinico Fury Road. A differenza del lungometraggio diretto dall’inossidabile George Miller, il videogioco non si avvale di una fotografia sfavillante; non gode di una regia frenetica e curata in ogni minimo dettaglio; nemmeno il suo protagonista può sperare di competere con il Tom Hardy, taciturno e incredibilmente affascinante, apprezzato al cinema.

La trama, questo sì, vive grazie alle stesse, semplici ed efficacissime premesse che muovono la saga sin dagli esordi. Max è alla deriva in un mondo ormai in cancrena. Folle tra i folli, non desidera altro che pace e quel silenzio che possa salvarlo dai demoni che continuano a sussurrargli incomprensibili e sinistri messaggi nelle orecchie.  La Piana del Silenzio è l’ultima speranza, l’estremo obiettivo di una vita ormai compromessa e priva di senso. L’Interceptor, la fidata compagna alimentata da un roboante V8, è andata per sempre, distrutta in un fatale alterco contro gli sgherri di Scabrous Scrotum: villain dal nome infelice, con cui dovrete vedervela a più riprese prima di raggiungere gli agognati titoli di coda. A raccogliere la pesante eredità, “motoristicamente” parlando, la Magnum Opus: una carcassa d’auto, inizialmente mossa da un modestissimo V6, che andrà progressivamente potenziata e aggiornata grazie agli sforzi di Chumbucket, un simpatico mentecatto raccattato nelle fasi iniziali dell’avventura che fungerà da inseparabile compagno di Max.

[caption id="attachment_146882" align="aligncenter" width="508"]Mad Max screenshot 1 Alcuni inseguimenti a bordo della Magnus Opus ricordano davvero tantissimo le adrenaliniche sequenze apprezzate in Fury Road.[/caption]

Vista la saga di riferimento, non desta alcuna sorpresa scoprire che proprio l’auto è il cardine attorno cui ruota l’intera avventura, l’elemento che detta i ritmi e la progressione dello stesso gameplay. Inizialmente ai confini dell’immensa mappa di gioco, potrete aumentare il raggio d’azione incrementando le potenzialità del mezzo. Un motore più performante vi permetterà di seminare le bande armate che si aggirano per i deserti. Arpione, fucile da cecchino e il nitro saranno invece utilissimi per abbattere gli avamposti e le strutture che segnano il dominio di Scrotum. Per permettere a Chumbucket di apportare le varie migliorie dovrete accumulare rottami infiltrandovi nei rifugi dei predoni, completando le varie missioni che vi avvicineranno allo scontro finale, espugnando le fortezze e assaltando i convogli che trasportano, lungo il deserto, provviste e pezzi di ricambio.

Qualunque sia il compito assegnatovi, piuttosto in fretta si finisce per compiere lo stesso ventaglio di operazioni, mettendo a nudo quello che è il principale difetto di questa produzione: la cronica ripetitività di fondo. Guidando la Magnum Opus, grazie al nitro, si speronano i veicoli nemici o si usa l’arpione per distruggerli, pezzo dopo pezzo. Appostandosi a distanza di sicurezza dagli avamposti si consumano i pochi proiettili in proprio possesso per “cecchinare” i fucilieri di guardia. Esplorando ogni metro quadrato dell’ambientazione si scovano reperti risalenti all’epoca precedente al cataclisma che ha sconvolto la Terra, si individuano rifugi segreti e palloni aerostatici con cui evidenziare sulla mappa tutti i luoghi d’interesse. Raggiunta la fortezza di turno la si esplora fino a trovare il target che va fatto saltare in aria usando qualche tanica di benzina recuperato sul luogo. Un copione che per quanto ampio e incline a subire piccole modifiche, si ripresenterà fondamentalmente immutato in ogni regione sbloccata, sino all’epilogo dell’avventura.

[caption id="attachment_146885" align="aligncenter" width="508"]Mad Max screenshot 2 Il motore grafico non fa certo gridare al miracolo, ma l’art design fa il suo dovere alla grande.[/caption]

Nelle fasi appiedate, Mad Max, se possibile, abbassa ulteriormente la complessità delle meccaniche ludiche ereditando buona parte del combat system da un’altra saga di Warner Bros. Interactive: quella dedicata al Cavaliere Oscuro di Gotham City. Il “free-flow combat” è naturalmente semplificato in questa occasione, ma funziona orientativamente allo stesso modo: con un pulsante si attacca, con un altro si parano i colpi nemici quando appare la relativa icona. A differenziare questa riproposizione la possibilità di aprire il fuoco con lo shotgun, opportunità comunque limitata dal risicatissimo numero di proiettili in vostro possesso, e il berserk-mode che si attiverà automaticamente non appena avrete completato una combo sufficientemente lunga.

"Mad Max è un gioco che funziona alla grande"

Nonostante la ripetitività delle missioni, le modeste ambizioni del gameplay e un combat system largamente riciclato, Mad Max è un gioco che funziona alla grande. Nella piena consapevolezza di avere risorse e tempi di sviluppo relativamente limitati, Avalanche Studios ha concentrato i suoi sforzi là dove sapeva di non poter fallire. Lo studio svedese, infatti, ha ripetuto quando già fatto con Just Cause: altra produzione che a fronte di un concept relativamente debole, sapeva veicolare buone dosi di divertimento. Se il sistema di guida non convince mai affondo, se alla lunga l’espugnazione delle fortezze prevede le stesse procedure, tutta una serie di fattori allontanano continuamente la noia. Il progressivo potenziamento della Magnum Opus e di Max stesso, tanto per cominciare, invogliano alla continua ricerca di nuovi rottami. La progressiva conquista della mappa, divisa in territori in cui eliminare ogni avamposto di Scrotum, alimenta smanie d’onnipotenza mai completamente sopite. Gli splendidi panorami disegnati dagli artisti della software house, apparentemente a loro agio nell’immaginarsi un immensa distesa desertica costellata di carcasse di navi e petroliere, accresce il desiderio di esplorare e vedere tutto ciò che questo mondo post-apocalittico ha da offrire.

[caption id="attachment_146884" align="aligncenter" width="508"]Mad Max screenshot 3 Esplorando i campi dei banditi dovrete anche preoccuparvi di razziare le scorte d’acqua, utili per rimpinzare la barra di salute, e le taniche di benzina con cui fare il pieno alla Magnum Opus.[/caption]

Mad Max, in soldoni, è la controprova che spesso basta qualcosa di basilare e non troppo complesso per intrattenere più che degnamente. Non che la creatura di Avalanche Studios sia andata al risparmio, sia in termini artistici che puramente tecnici, ma il gameplay non può certo competere, per complessità e profondità, con open world ben più blasonati come GTA V o il recentissimo Metal Gear Solid V: The Phantom Pain [http://www.badtaste.it/videogiochi/recensioni/recensione-metal-gear-solid-v-the-phantom-pain/]. Il gioco prodotto da Warner Bros. Interactive riproduce perfettamente lo spirito del brand a cui si rifà, si potrebbe persino ritenerlo una sorta di spin-off di Fury Road, e nonostante una cronica ripetitività non arriva mai a frustrare o annoiare. Assuefacente per come riesce ad imbrigliare l’utente nel mantra “esplora-conquista-potenzia”, farà la felicità di chiunque non vedeva l’ora di guidare un V8 facendo a sportellate con chiunque si incontri lungo il cammino.

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