Recensione - In Space We Brawl

Le sparatorie spaziali del titolo multiplayer dell’italianissima Forge Reply, In Space We Brawl

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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In Space We Brawl è un gioco magico. Non stringessimo tra le mani l’avveniristico DualShock 4, con il suo speaker integrato, gli accelerometri e il touch-pad, stenteremmo a credere di non essere caduti in qualche buco spazio-temporale e di aver viaggiato a ritroso nel tempo.

Fermandoci un attimo a guardare i presenti che si contendono il controller per partecipare alla partita successiva, sembra di essere tornati indietro di almeno quindici anni. C’è chi riproduce il suono dei laser con la bocca, chi simula con la mano le acrobazie del proprio vascello, chi abbozza un’infantile scenata dopo l’ennesimo game over anticipato. Quattordicenni in una vecchia sala giochi, intenti a vivere il medium senza dirette su Twitch o auricolari per comunicare con qualcuno che si trova dall’altra parte del mondo. Eppure qui ci sono diversi capelli bianchi, quando i capelli ci sono ancora, e lo schermo verso cui si riversano tutte le attenzioni è un modernissimo LCD ultrasottile.

[caption id="attachment_136599" align="aligncenter" width="600"]In Space We Brawl screenshot In Space We Brawl - screenshot[/caption]

Il concept della produzione di Forge Reply, italianissimo studio con sede a Milano, è semplice, quasi scontato nella sua perfetta funzionalità. Quattro navicelle spaziali, costrette in un ristrettissimo spaccato di universo, singolarmente o divise in squadre, si fronteggiano a suon di missili e raggi protonici per prevaricare sugli avversari. Nintendo, su (piccole) idee del genere, ci ha creato una gloriosa (e milionaria) storia che conosciamo benissimo e il piccolo studio nostrano sembra aver carpito il segreto celato e custodito gelosamente dall’azienda di Kyoto.

Il genere di riferimento è quello dei twin stick shooter: con un analogico si controlla l’astronave, con l’altra si direziona il fuoco. Questo non è automatico: con un trigger si attiva il laser primario, con un rateo estremamente lento, con l’altro ci si affida all’arma secondaria. I dorsali servono per turbo e scudo difensivo il cui funzionamento è ovviamente limitato dalla scorta d’energia che tende a ricaricarsi autonomamente nel tempo. Un control scheme semplicissimo, per un gioco facile da comprendere, solo all’apparenza immediato.

Le prime partite sono una carneficina. Si fatica a restare in vita per più d’una manciata di secondi, incalzati da avversari, asteroidi, detriti spaziali, torrette difensive e alieni impertinenti. Il level design, in questo senso, è al limite della genialità. Ogni arena ha la sua particolarità, l’elemento da sfruttare a proprio vantaggio per rendere ancor più difficile la vita agli avversari. Ci sono buchi neri che svuotano progressivamente la barra della salute, il vento solare rende difficoltosa la navigazione, persino i power-up possono rappresentare un pericolo: raccolti donano bonus d’attacco o rimpinzano la barra dell’energia, se colpiti esplodono travolgendo chi ci sta intorno.

[caption id="attachment_136600" align="aligncenter" width="600"]In Space We Brawl screenshot In Space We Brawl - screenshot[/caption]

Tante avversità e pericoli nello spazio profondo, ma non sarete lasciati alla mercé degli elementi. All’inizio di ogni match potrete scegliere vascello e arma secondaria. Se inizialmente è la curiosità di provarle tutte a muovere gli istinti dei videogiocatori, presto, almeno i più esperti, capiranno che c’è un set particolarmente efficace per ogni scenario e contro ogni tipo d’avversario. In un’arena piena zeppa di asteroidi sarà consigliabile utilizzare un mezzo facilmente manovrabile, magari munito di gancio con cui ancorare e lanciare le rocce spaziali contro gli avversari. In ambientazioni dalle dimensioni contenute è preferibile un veicolo in grado di subire maggiori danni, ma equipaggiato di shotgun o di spada con cui perforare facilmente gli scafi nemici. Le combinazioni, in questo senso, sono innumerevoli: ce n’è davvero per tutti i gusti e le esigenze.

Dopo ogni partita, che non dura mai più di un paio di minuti, ci si scopre più esperti e a proprio agio. A poco a poco si fa sempre meno fatica a interpretare l’andamento del match tra esplosioni e numeri che indicano l’entità del danno subito. Progressivamente si impara a sfruttare a proprio vantaggio ogni elemento mosso e animato dalla rigorosissimo motore fisico. Lentamente si impara a capire quando è conveniente passare all’attacco e quando attendere che parte degli avversari si eliminino tra loro.

Come se non bastasse, il team di sviluppo ha impreziosito la sua creatura di numerose feature che inspessiscono l’esperienza. Per decretare il vincitore non basta sopravvivere per ultimi durante i vari round. Un sistema di medaglie elargisce punti ai videogiocatori che si sono distinti in qualche modo: vuoi per il numero di uccisioni compiute, vuoi per aver utilizzato esclusivamente il fuoco primario. Il sistema delle taglie complica ulteriormente le cose: se attivato permette di selezionare, in segreto, un avversario che se abbattuto farà guadagnare il doppio dei punti. Al termine di ogni partita, si resta sempre con il fiato sospeso mentre il software conteggia, con cinica lentezza, le somme e declama il vincitore finale.

[caption id="attachment_136601" align="aligncenter" width="600"]In Space We Brawl screenshot In Space We Brawl - screenshot[/caption]

Proprio per la sua imprevedibilità ed estrema profondità, In Space We Brawl è il palcoscenico di sfottò, urla di vittoria, lanci di pad e smorfie di dolore. Il coraggio di Forge Reply è ravvisabile proprio in questo: nell’aver voluto a tutti i costi che il multiplayer fosse esclusivamente in locale. Non mancano naturalmente ragioni anche economiche dietro a una (pericolosa) scelta di design come questa, ma la filosofia che sorregge l’intero progetto è romanticamente retrò: il gioco non è solo quello sullo schermo. E’ anche intorno all’utente che interagisce con gli amici/nemici, in un circolo virtuoso di vendette e rivincite che può potenzialmente coinvolgere chiunque passi davanti alla TV di casa. Sotto quest’ottica il cross buy tra le versioni PlayStation 3 e PlayStation 4 è ben più che un gesto di generosità della software house: è la dimostrazione che ci si può concedere una rapida partita anche con la “vecchia” console, quella che ora è collegata nell’altro televisore e viene utilizzata solo in momenti particolari.

Ciò naturalmente ha un ovvio e negativo risvolto, l’unico vero punto debole della produzione: per essere fruito, In Space We Brawl necessita di un contesto estremamente specifico. E’ vero che esistono una serie di missioni per il single player e che Forge Reply prevede in futuro di introdurre una corposa modalità storia, ma allo stato attuale dei fatti, senza pad aggiuntivi e amici a disposizione, il software è un gigantesco involucro vuoto. Forse, in questo senso, la possibilità di sfruttare navicelle nemiche mosse dalla CPU avrebbe permesso anche al videogiocatore solitario di concedersi una rapida sparatoria fra le stelle, ma ciò avrebbe anche rappresentato un tradimento alla formula.

In Space We Brawl è un gioco magico: riavvolge le lancette del tempo, senza rinunciare ad essere tremendamente moderno. Profondissimo, vi abbaglierà con il suo numero impressionante di navicelle spaziali, armi secondari, ambientazioni presenti e meccaniche ludiche che si innestano ad ogni partita. Andrebbe sempre giocato con patatine e bibite a portata di mano, magari rendendolo il perno di una festa organizzata all’ultimo momento. Correte ad acquistarlo sul PSN e poi chiamate tutti i vostri amici muniti di pad per PlayStation 3 e PlayStation 4. E se proprio non avete amici sarebbe proprio il caso di farsene qualcuno anche solo per sfidarli tra le stelle.

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