Recensione - Grand Theft Auto: San Andreas Remastered

Groove Street in alta definizione: con questo restyling di Grand Theft Auto: San Andreas Remastered faticherete a riconoscere persino CJ

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Nel 2004 avevo iniziato ad ascoltare Hip Hop da poco più di un anno. Magliette e pantaloni erano sempre più larghi e al calcio, alla sempre più sbiadita passione per il Milan, preferivo di gran lunga lo spettacolo d’Oltreoceano di NBA e Lakers. L’adolescenza era allo zenit e la mia affermazione sul mondo si misurava in beat e in un misterico gergo che conoscevamo in pochi. A scuola era un disastro. Nonostante i riverberi dei “fenomeni” 50 Cent e Eminem, erano lontani i tempi di Gué Pequeno, Fedez e del successo di Fabri Fibra. Quella passione fatta di cappellini storti e gigantesche “jersey” da basket costava sguardi torvi, smorfie di disapprovazione e l’automatico disgusto di tutte le ragazze dell’istituto.

Lentamente, le cose iniziarono a cambiare nell’ottobre di quell’anno, quando venne pubblicato dalle nostre parti San Andreas. Rockstar era l’indiscussa eroina (in tutti i sensi) di infinite schiere di ragazzini e dopo GTA III e Vice City, qualsiasi cosa avrebbe deciso di propinare al pubblico sarebbe stata accettata, emancipata, idolatrata. Per uno come me, CJ e la sua vicenda ambientata negli anni 90, in piena lotta tra la West Coast capitanata da Tupac e l’East Coast di Notorious B.I.G., fu una sorta di rivoluzione sociale: l’empirica dimostrazione che il mondo di cui mi facevo profeta era ricco di suggestioni, artisti tormentati e storie di droga e pistole. Una roba per soli fighi insomma.

[caption id="attachment_137162" align="aligncenter" width="600"]Grand Theft Auto: San Andreas Remastered screenshot 1 Grand Theft Auto: San Andreas Remastered - screenshot[/caption]

Del resto, il potere delle produzioni Rockstar deriva proprio da questo: non limitarsi al gameplay, alla trama, alle innovazioni tecnologiche. La vera magia risiede nell’atmosfera, nella capacità di comprimere un’epoca storica, uno spaccato di mondo, in colori vividissimi, in suoni che racchiudono tendenze e aspirazioni di un’intera generazione. C’è tanta violenza, è vero, ma GTA è soprattutto un’opera storica, antropologica, filosofica.

Al rosa, alle luci al neon di Vice City, San Andreas rispondeva con distese desertiche e il degrado cittadino. Alla benestante e luccicante Miami, una Los Angeles martoriata da

"Che ci crediate o meno, sono già passati dieci anni dalla pubblicazione originale di GTA: San Andreas"

guerra tra gang e poliziotti corrotti. Allo “splendido” Tommy Vercetti, un protagonista in preda a una forte crisi d’identità, stritolato dalla necessità di cambiare vita e i doveri verso la crew con cui ha passato buona parte della sua vita e con cui ha condiviso la dipartita di tanti amici. Il dramma di CJ però resta sullo sfondo. Tra pistole, comparse eccentriche e missioni che travalicano piuttosto in fretta il limite del credibile, San Andreas è indiscutibilmente il capitolo più esagerato della saga. Non bastava una mappa sconfinata. Per sorprendere e ammaliare, Rockstar inserì perfino il jatpack e l’Area 51: teatro di una rocambolesca sparatoria in cui il nostro si fa beffe dell’esercito americano come neanche Rambo seppe fare ai suoi tempi.

Che ci crediate o meno, sono già passati dieci anni dalla pubblicazione originale di quell’indimenticabile episodio. Per festeggiare l’occasione, la software house americana ha pubblicato da pochi giorni la versione (probabilmente) definitiva del gioco, solo su Xbox Live, Grand Theft Auto: San Andreas Remastered. Nessun contenuto aggiuntivo, purtroppo, e nemmeno delle evidenti migliorie al datato gameplay: solo un evidentissimo resyling grafico quantificabile in una risoluzione aggiornata ai 720p.

[caption id="attachment_137163" align="aligncenter" width="600"]Grand Theft Auto: San Andreas Remastered screenshot 2 Grand Theft Auto: San Andreas Remastered - screenshot[/caption]

A ben vedere, quest’unica novità, non rende affatto giustizia a GTA San Andreas. La vecchia PlayStation 2 aveva evidenti limiti, il più delle volte riscontrabili nel famoso “effetto nebbia” che circoscriveva le aree che il processore grafico doveva calcolare in tempo reale. Nel caso di Los Santos, il difetto si tramutava in un suggestivo artificio. Gli assolati tramonti californiani diventavano ancor più affascinanti grazie alla foschia che lasciava intravedere sullo sfondo i grattacieli del Downtown. Anche il lieve tremolio dell’aria calda così evidente in alcune scene d’intermezzo, è completamente scomparso. L’upgrade grafico, in soldoni, ha denudato città e dintorni di parte della sua inafferrabile bellezza ed espressività. Chiunque abbia giocato all’originale e sia stato almeno una volta in California, noterà immediatamente che manca qualcosa, quell’indescrivibile essenza tanto ravvisabile per le strade di L.A., completamente fagocitata dall’eccessiva nitidezza di ogni ambiente. Non solo: le texture, un tempo meno definite, ora mostrano volti innaturalmente inespressivi, abbozzati, “invecchiati”.

L’assenza di accorgimenti nel control scheme è un altro punto a sfavore di questa riedizione. Con il Dualshock 2 certe sbavature si notavano meno: alla guida non ci si accorgeva del costante pattinamento dei veicoli e il lock-on sui nemici risolveva la cronica mancanza di precisione del sistema di mira. Con il pad di Xbox 360 tra le mani, un decennio di evoluzione videoludica dopo, scendere a compromessi è molto più difficile.

Eppure, visto l’irrisorio prezzo a cui è venduta questo remake (meno di quattro euro) è praticamente impossibile resistere: un po’ perché CJ non ha mai smesso di allietare i nostri ricordi videoludici, un po’ perché nonostante i segni del tempo inizino ad essere evidentissimi, San Andreas non sfigura eccessivamente con il più moderno GTA V. Provate per credere: al massimo ci avrete rimesso un paio di caffè.

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