Recensione - Everybody's Gone to the Rapture

Un Cloverfield senza il mostro: la nostra recensione di Everybody's Gone to the Rapture

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Non c’è niente di peggio del non riconoscere, valorizzare e sfruttare le specificità del media con cui si ha a che fare.

In un qualsiasi corso di sceneggiatura, questa è in assoluto la frase che sentirete ripetervi più spesso. Un film che si sforza di essere fumetto non potrà che fallire. Il teatro, se non gioca le sue carte su presenza e contatto con il pubblico, perde di senso. Un videogioco che aspira a farsi romanzo, che cerca forzatamente di adottarne gli stilemi e di riproporne in qualche modo la fruizione, spesso lenta e fatta di lunghe pause, finirà certamente per annoiare la propria utenza. Tutto vero, a meno che non siate dei piccoli geni nel vostro campo di appartenenza. Zack Snyder ha creato una perfetta trasposizione di 300 e Watchmen. Bertold Brecht faceva di tutto per alienare gli spettatori. Dear Esther, o il più recente Ether One, tenevano vivo l’interesse del videogiocatore nonostante le deboli meccaniche ludiche su cui basavano solo parte dell’esperienza offerta. Everybody's Gone to the Rapture, purtroppo, non fa parte dei pochi fortunati che sono riusciti a soverchiare il precetto zero del come si scrive una storia di successo, andando così a ingrossare la casistica dei tentativi miseramente falliti.

[caption id="attachment_145969" align="aligncenter" width="508"]Everybody's Gone to the Rapture screenshot 1 Non mancano panorami evocativi e scorci ammalianti. Shropshire è una località tutta da esplorare, ma avremmo preferito farlo al doppio della velocità.[/caption]

I motivi per cui l’esperimento di The Chinese Room non può dirsi riuscito sono in verità pochi e nessuno di questi mette in dubbio buone intenzioni e le reali capacità artistiche del team di sviluppo. Molto semplicemente, gli sceneggiatori hanno sbagliato approccio, puntando un rischiosissimo all-in con poche carte buone in mano. Inesperienza più che sfortuna, ovviamente, ma il risultato è ugualmente tragico: l’attesissima avventura grafica per PlayStation 4 a conti fatti è un flop; un titolo brutalmente assassinato dalle stesse (giga)aspettative che aveva creato e che, dopo un inizio promettente, scema in un nulla cosmico di cui è davvero difficile parlare, per quanto poco ci sia da parlare, senza svelare qualcosa di troppo sulla scontata e rudimentale trama che lo anima.

Everybody's Gone to the Rapture è un’avventura grafica in cui non si fa altro se non camminare per un’ambientazione di ragguardevoli dimensioni, eventualmente esplorandola da cima a fondo, interagendo con pochissimi elementi quali porte, telefoni e radio. Non ci sono enigmi, né nemici da abbattere. C’è chi li definisce “walking simulator”, e chi, per titoli del genere, preferisce metterne in risalto l’attenzione per la narrazione parlando di “videogame story driven”. Al di là delle inutili definizioni, il punto è un altro: senza un buon ritmo, senza una motivazione forte, prodotti di questo tipo rischiano di sgonfiarsi sul nascere.

"Everybody's Gone to the Rapture è un’avventura grafica in cui non si fa altro se non camminare per un’ambientazione di ragguardevoli dimensioni, eventualmente esplorandola da cima a fondo, interagendo con pochissimi elementi quali porte, telefoni e radio. "

Imprigionati nel corpo di un’entità (donna? Uomo? Essere sovrannaturale?) destinata a non avere né volto, né tanto meno un nome, vi ritroverete a vagare nel villaggio di Shropshire ormai disabitato. Cittadini e animali sono scomparsi nel nulla e a rompere il silenzio innaturale che vi circonda ci saranno solo i gracchianti rumori prodotti dalle apparecchiature elettriche in evidente avaria. Il mistero si farà ancora più fitto non appena vi accorgerete che le vostre mosse sono guidate, suggerite e spiate da una strana quanto affascinante fonte di luce che vi attirerà di casa in casa, di panchina in panchina, per mostrarvi momenti del passato impressi in tracce luminose. Si tratta, nello specifico, di brevi dialoghi tra gli abitanti della cittadina che, di fatto, vi illustreranno i loro ultimi giorni di vita, prima che l’incomprensibile evento, di cui non facciamo parola per non rovinare la sorpresa, cancellasse ogni presenza umana nei dintorni. Frank, Stephen, Wendy, Kate e molti altri: tutti protagonisti, a modo loro, tutti più o meno coinvolti e complici nella catastrofe che distruggerà le loro vite e, probabilmente, tutte quelle dell’intero pianeta.

Il problema di fondo è che la narrazione si affida unicamente a conversazioni non interattive, recitate da figure che nel migliore dei casi appaiono come sfocate figure antropomorfe. Non c’è niente che le caratterizzi se non l’intonazione della propria voce. Di per sé non è una scelta che possiamo giudicare perdente: tutt’altro. È perdente il credere che bastino accenni a piccole tragedie quotidiane, che basti un accompagnamento musicale strappalacrime, per creare pathos e, soprattutto, affezione. Anche in questo caso eviteremo accuratamente di entrare in dettagli, ma The Chinese Room ha tentato di cucinare un gigantesco minestrone fatto di eventi sfortunati e scelte di vita sbagliate per tirare in ballo un nutrito numero di tematiche: l’abbandono, il destino, l’amicizia, la religione e soprattutto l’amore che, a conti fatti, è il vero fulcro attorno al quale ruota tutta la storia. Quello che si presenta come un Faust in salsa videoludica, come un’opera che tenta di trattare in un colpo solo tutto lo scibile e non, si rivela purtroppo una scialba successione di quadretti che hanno lo stesso impatto emotivo di una qualsiasi soap sudamericana.

[caption id="attachment_145972" align="aligncenter" width="508"]Everybody's Gone to the Rapture screenshot 2 Non è tutto da buttare, beninteso. Ci sono momenti estremamente toccanti e poetici, ma è troppo poco: vi ricorderete di questo gioco più per gli sbadigli che per le lacrime versate.[/caption]

Non c’entra la durata dell’avventura. Anche se bastano solo sei ore per giungere ai titoli di coda, abbiamo visto come The Last of Us, solo per fare l’esempio più eclatante, sia riuscito a commuoverci con la prematura scomparsa di un personaggio che resta in scena per un quarto d’ora al massimo. Si tratta di non essere in grado di mantenere una perfetta coerenza lungo tutto l’arco narrativo, di non rispettare il sottile equilibrio tra credibile e non-credibile, di mettere in scena personaggi che non riescono a fare breccia nella sensibilità dello spettatore, di non sapere esattamente come si crea l’empatia.

Per farla breve, mancano le basi della sceneggiatura, quei semplici precetti che spiegano e illustrano il modo migliore per dare forma a una storia ben ritmata, tesa, interessante dall’inizio alla fine. Everybody's Gone to the Rapture lascia intendere fin troppo nel prologo, concedendosi il lusso di credere che l’interesse del videogiocatore, alla lunga, si sarebbe comunque concentrato sui singoli personaggi, piuttosto che sul misterioso evento che ha ridotto il villaggio di Shropshire in un silente cimitero. Ciò che è peggio, la velocità di avanzamento dell’entità che controllerete è estremamente bassa. Anche in questo caso si possono intuire le intenzioni che hanno spinto gli sviluppatori a compiere una tale scelta, cioè diluire il tempo di gioco e accostare le descrizioni che solitamente troviamo nei romanzi alle lunghe peregrinazioni che vi vedranno protagonisti, ma il risultato è che si finisce spesso per annoiarcisi mentre si tenta unicamente di raggiungere la location successiva, sempre scortati dalla strana luce che sembra conoscere tutti i segreti del luogo.

[caption id="attachment_145971" align="aligncenter" width="508"]Everybody's Gone to the Rapture screenshot 3 Naturalmente è possibile completare l’avventura limitandosi a seguire la fonte di luce nelle varie stazioni. I perfezionisti, tuttavia, si impegneranno a fondo per ritrovare tutte le radio e i telefoni che inspessiscono la trama con ulteriori dettagli e rivelazioni.[/caption]

Everybody's Gone to the Rapture è il Faust senza Mefistofele, un fumetto di Batman senza il Joker, è Cloverfield senza il mostro. C’è un motivo del vostro tanto girovagare, ma è evanescente e sfocato come le figure di luce che abitano il villaggio. Si accenna costantemente a qualcosa (qualcuno?) senza che abbiate mai la reale possibilità di vederlo, toccarlo, comprenderlo. Il plot si disperde in fin troppe tematiche che sviluppa con poca convinzione, perdendo di vista l’unica rotta che avrebbe dovuto perseguire con determinazione: cadenzare con maggior sapienza e rigore le informazioni circa l’evento che ha ridotto in tale stato Shropshire. Gli sceneggiatori di The Chinese Room hanno peccato d’inesperienza mostrandoci alcune cose troppo presto, facendoci conoscere poco i personaggi, rendendoci partecipi a stento e malamente delle loro storie per sentirli davvero nostri, per piangerne la scomparsa, per ritrovare parte di noi stessi nelle loro scelte sbagliate.

Restano tanti rammarichi, perché l’ambientazione è disegnata a regola d’arte e il finale riesce a suscitare qualche brivido d’emozione. Ma la fatica che si fa per raggiungere l’epilogo è comunque troppa se paragonata allo sbrigativo twist conclusivo.

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