Recensione - DmC: Devil May Cry - Highway to Hell

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Quote:

La sperimentazione di combinazioni sempre nuove rende ogni scontro teso e appassionante

Ninja Theory dice la sua su Dante, con risultati notevoli!

“L’unica costante è il cambiamento”

Eraclito

Il cambiamento è un processo inevitabile, in ogni aspetto dell’esistenza per come la conosciamo. Può essere, naturalmente, positivo o negativo, a seconda delle circostanze e delle sensibilità, ma ciò che è certo è che spesso fa paura. Abitudinari o meno, ogni volta che una cosa data per scontata e conosciuta viene meno, o cambia nella forma, tutti tendiamo a spaventarci. Ad ulteriore, e futile, riprova di questo dogma, c’è la reazione dei fan di uno specifico personaggio appartenente all’immaginario collettivo quando quest’ultimo diventa oggetto di un cosiddetto reboot, ossia un “nuovo inizio”, una tabula rasa da cui si riparte, possibilmente rimanendo comunque fedeli alle radici. Proprio così hanno reagito i fan di Dante, quando quest’ultimo, abbandonata la chioma bianca, si è ripresentato sugli schermi circondato da una bizzarra aura emo-rock, in grado di scatenare in poco tempo un vero finimondo di critiche. Correva il settembre 2010 e, due anni e mezzo dopo, ci troviamo tra le mani il frutto di quel coraggioso colpo di spugna. Abbandonato lo sviluppo interno, Capcom ha lasciato il brand nelle mani di Ninja Theory, una casa di sviluppo giovane ma già in grado di mostrare interessanti qualità (con Heavenly Sword ed Enslaved, quest’ultimo molto sottovalutato).

Naturalmente, per apprezzare DmC: Devil May Cry bisogna slegarsi, almeno temporaneamente, dai precedenti quattro capitoli, così deliziosamente orientali nei loro eccessi narrativi e grafici. Non che in questo riavvio l’esagerazione non sia di casa, ma, ad essersi profondamente trasformato, è semmai il gusto, molto più orientato verso la cultura occidentale.

Sin dal roboante avvio, DmC colpisce il giocatore con un design dei livelli che si fa da subito protagonista dell’opera, in grado di scomporre e ricomporre come puzzle ambienti urbani volutamente eccessivi nei colori e nelle forme. Questo estremismo visivo ben si accompagna a una colonna sonora metal e agli sboccatissimi commenti del protagonista, che, pur rasentando il cattivo gusto, riescono a strappare più di una risata.

Recuperando le tradizioni della saga, il gameplay di DmC: Devil May Cry si inserisce perfettamente nel genere action, offrendo una lunga serie di combattimenti ravvicinati con demoni di vario tipo, alternati a brevi, e molto semplici, sequenze di platforming. Il combat system è stato studiato per risultare il più vario possibile, e soprattutto per offrire novità e ricompense con un ritmo costante, così da mantenere sempre viva la motivazione del giocatore. Questo scopo è stato perseguito sia facendo in modo che Dante ottenga a intervalli regolari una nuova arma (saranno in tutto sei), sia tramite un classico sistema di accumulo di punti esperienza, che permettono al giocatore di sbloccare nuove combo. Queste ultime prevedono sia la concatenazione di colpi potenti e rapidi, come la tradizione vuole, sia l’alternanza tra una modalità angelica e una demoniaca. Oltre a variare l’arma impugnata, queste due differenti impostazioni mettono a disposizione del giocatore la possibilità di agganciare i nemici e lanciarvisi contro, oppure di attirarli a sé. Può sembrare una meccanica secondaria, ma diventa ben presto protagonista degli scontri: grazie a queste due mosse, il giocatore ha la possibilità di concatenare combo molto lunghe, variando più volte arma, attaccando alternativamente da terra o sospeso a mezz’aria, il tutto senza soluzione di continuità. Un combat system che premia la varietà e lo stile, invitando all’esecuzione di sequenze prolungate e spettacolari. Queste ultime vengono anche premiate con un sistema di punteggio, che a fine livello calcola il totale e permette di condividerlo nella classifica mondiale.

Al di là del sistema di combo, il cambio di arma istantaneo durante i combattimenti diventa fondamentale superate le prime ore di gioco, quando di fronte al giocatore cominceranno a pararsi gruppi di nemici molto assortiti, con esponenti sensibili agli attacchi portati solo da un certo tipo di arma. La sperimentazione di combinazioni sempre nuove, e il desiderio di raggiungere punteggi via via più alti, rendono ogni scontro teso e appassionante.

Molto diversa invece la filosofia applicata alle boss fight, che a una resa grafica spettacolare uniscono la necessità di trovare in fretta i punti deboli del nemico di turno, e di memorizzarne tempestivamente i pattern di attacco. Nonostante l’impostazione molto classica, si rivelano comunque soddisfacenti, e tutte sufficientemente originali.

Alla buona riuscita generale del combat system contribuisce anche un buon lavoro svolto sulle inquadrature, con una telecamera parzialmente automatica in grado di mantenere quasi sempre il focus sul cuore dell’azione e di interpretare correttamente le direzioni d’attacco, rendendo dunque superfluo il tipico “aggancio” del nemico visto nei predecessori, qui opportunamente sostituito da una rapida schivata, eseguibile anche a mezz’aria.

I fan della saga di Devil May Cry troveranno indubbiamente troppo permissivi i tre livelli di difficoltà inizialmente disponibili. Anche impostando la partita a Nephilim, il livello di sfida non sarà al pari di quello offerto dai predecessori. Solo completando la prima volta il gioco si potrà accedere ai successivi livelli, decisamente più interessanti per impegno richiesto. A nostro parere gli sviluppatori avrebbero dovuto rendere disponibile sin da subito il primo dei livelli di difficoltà superiori, ossia Son of Sparda, così da concedere anche ai giocatori più navigati un’esperienza di gioco soddisfacente.

Nonostante questa mancanza, le circa otto ore necessarie al completamento della modalità storia restituiscono nel complesso un’esperienza di combattimento di primissimo livello, solida e divertente. La trama non è delle migliori, e soprattutto si nota una mancanza di coesione tra i toni ironici e sboccati del personaggio e la critica sociale che sottende allo svolgimento, la quale fa spesso riferimento alla società contemporanea, informatizzata e sotto il controllo delle grandi potenze economiche, qui incarnate dai demoni. Il mix non sempre risulta omogeneo, soprattutto quando i dialoghi e le sequenze narrative vengono inserite in maniera evidentemente forzata tra un combattimento e l’altro, protraendosi eccessivamente. In conclusione, l’arco narrativo non aggiunge granché all’esperienza, troppo stretto tra personaggi bidimensionali e privi di evoluzione, e una generale inconsistenza del narrato.

Nonostante queste sbavature, DmC: Devil May Cry avvia in maniera incoraggiante questa ricca annata, rispondendo alle critiche iniziali con una produzione solida dal punto di vista del gameplay e del level design, assolutamente da considerare per tutti gli appassionati di action e di giochi dal taglio grafico particolare.

Tipologia di Gioco:

DmC: Devil May Cry è un reboot della classica serie firmata Capcom, firmato dal team di sviluppo occidentale Ninja Theory. Nonostante il nuovo aspetto del protagonista e la nuova storyline, il gameplay si basa ancora sui tesissimi scontri, resi divertenti e impegnativi grazie a un combat system elaborato ma facile da padroneggiare. Con ampie concessioni alla sperimentazione da parte del giocatore, e fornendo costantemente nuove armi e possibilità, gli sviluppatori sono riusciti nel non facile compito di mentenere fresca e divertente l'esperienza per tutta la sua discreta durata (circa 8 ore).

Come è Stato Giocato:

Abbiamo completato la modalità storia di Devil May Cry in circa 8 ore grazie alla copia Playstation 3 gentilmente concessaci dal publisher italiano Halifax, per poi provare i restanti livelli di difficoltà. A fronte di un'installazione piuttosto breve, le nostre sessioni di gioco non hanno fatto rilevare bug o probemi tecnici degni di nota, confermando il buon lavoro di ottimizzazione.

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