Recensione - Diablo III - Stay awhile and listen... again

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Ammazzare mostri con i click del mouse non è mai stata un’attività tanto divertente, complessa e raffinata

A tre settimane dal rilascio, il nostro completo parere sul nuovo titolo Blizzard

Diablo III non è solo il frutto di quasi dodici anni di lavoro, ma anche di infiniti ripensamenti, un’apparente insicurezza che da sempre caratterizza, ironia della sorte, una delle aziende più “infallibili” dell’intera industria dell’intrattenimento. Dagli albori ad oggi, Blizzard Entertainment non ha mai sbagliato un colpo, uno status elitario sempre più difficile da difendere ad ogni nuova uscita.

L’Eterno Ritorno, così si potrebbe riassumere la filosofia dietro a Warcraft, Starcraft e Diablo, i tre brand di punta della software house, i quali si avvicendano sugli scaffali ereditando ognuno i passi avanti fatti dai predecessori.

Non deve stupire, dunque, che dal launcher dedicato sino ai menu di gioco, il terzo capitolo della diabolica saga presenti più di un punto in comune con il MMORPG campione d’incassi World of Warcraft, tanto da richiedere una costante connessione ad internet per accedere ai contenuti (sulle cui conseguenze torneremo a breve).

Pur ereditando molte delle caratteristiche dei suoi due predecessori, Diablo III è un gioco pensato soprattutto per l’online, con una cooperativa a quattro giocatori che diventa colonna portante dell’offerta ludica.

Tuttavia, solo a qualche ora di gioco dall’incipit, quando il sistema di skill diventa finalmente ricco, emerge quello che forse è il dato più interessante di tutta la produzione, efficace nel sintetizzare il completo ribilanciamento operato da Blizzard su un sistema di gioco apparentemente identico a quello dei predecessori: il dungeon crawling è quello di sempre, ma laddove i primi due titoli presentavano una tensione totalizzante nei confronti del loot, e quindi della casualità, Diablo III vi interpone la gestione delle skill del personaggio, rendendola flessibile, adatta a rapidi cambiamenti in tempo reale.

Qui è racchiusa l’essenza del gameplay: se i GDR e i MMORPG occidentali (WoW compreso) ci hanno abituato a prendere con attenzione le decisioni sull’evoluzione del proprio personaggio, penalizzando inoltre eventuali ripensamenti successivi, Diablo III scardina completamente questo dogma, semmai incoraggiando continui aggiustamenti nella dotazione delle molte skill. In qualunque momento sarà infatti possibile accedere ad una rapida schermata di assegnazione, dove si potrà cambiare completamente il set di abilità in uso, le due principali mappate sui due tasti del mouse, le restanti sui primi quattro pulsanti numerici della tastiera.

La scelta diventa dunque un elemento fondamentale della formula, costruita sulla capacità di sfruttare al meglio l’efficacia dei diversi mix di skill a seconda delle situazioni di gameplay che si presentano al giocatore. Il level design è stato naturalmente creato per supportare questa meccanica, presentando rapidi avvicendamenti tra aree affollate ora da nemici poco resistenti e in numeri massicci, ora da avversari più isolati ma resistenti al danno. Davvero notevole il design, non che da Blizzard ci si aspettasse di meno: la campagna, divisa in tre atti più un breve epilogo, vi garantirà un continuo cambio di ambientazione, con alcune location davvero memorabili.

Se già quanto sopra testimonia, come da tradizione Blizzard, un bilanciamento notevole, ancora più sorprendente è il lavoro fatto dal punto di vista della cooperativa. In qualunque momento sarà infatti possibile “aprire” la propria partita ad altri tre giocatori (oppure unirsi ad altre già in corso, tramite apposita schermata), continuando a giocare autonomamente (quando si è soli c’è la possibilità di avvalersi di un compagno guidato dall’intelligenza artificiale, di cui è possibile gestire in modo molto limitato skill ed equipaggiamento) fino a quando qualcun altro non farà il proprio ingresso nella sessione. Tralasciando la quasi-perfezione del matchmaking, che farà sì che i giocatori in ingresso si trovino esattamente nello stesso punto del vostro svolgimento, vale la pena di spendere qualche parola sul concetto di cooperativa in Diablo III.

Quest’ultimo è infatti differente rispetto a quanto il GDR d’azione occidentale ci ha abituato: per quanto collaborare con altri giocatori renda l’esperienza innegabilmente più divertente, e il bilanciamento della difficoltà aiuti a non abbassare troppo il livello di sfida, la cooperazione è in un certo senso molto “libera” e aperta. Ognuno continuerà sostanzialmente a giocare la propria partita, libero di applicare meccaniche collaborative affini al MMORPG, come il tanking, oppure di continuare massacrare nemici come se nulla fosse, godendo dell’altrui compagnia senza che questa imponga forti cambiamenti nello stile di gioco. La stessa filosofia è stata applicata al loot: onde evitare inutili complicazioni, gli sviluppatori hanno fatto sì che il giocatore veda a schermo solo le proprie spoglie di guerra, libero dunque di raccogliere senza creare problemi agli altri giocatori.

Si tratta di un approccio meno tattico del previsto, che riesce ad affiancare all’esperienza online un delicato approccio nei confronti delle meccaniche di gameplay, le quali rimangono sostanzialmente intatte. Non va infatti dimenticato che l’impianto ludico di Diablo è sempre stato quello di un gioco single player, e “forzare” all’interno di quella grammatica un elemento cooperativo a tutto tondo avrebbe finito per snaturarla. Così com’è, la cooperativa di Diablo III risulta tanto naturale che quasi ci si dimentica di quanto sia effettivamente ben studiata e soprattutto efficace nell’inserirsi in un gameplay molto tradizionale, senza sconvolgerlo.

Vale la pena di spendere qualche parola anche per la gestione del livello di difficoltà, molto meno flessibile del previsto e conseguentemente non apprezzata da una certa fetta dell’utenza. Effettivamente, la necessità di completare la prima volta la campagna a livello Normale per avere accesso a Nightmare (ossia il livello difficile) e via discorrendo per i successivi livelli, può risultare una forzatura, soprattutto per i veterani della saga, che troveranno inevitabilmente troppo facile la prima passata.

Va anche detto che, gestita in questo modo, e dunque facendo crescere il livello del giocatore di pari passo con la difficoltà, la seconda passata ad Hardcore si rivela molto più divertente. Con il personaggio a circa metà strada verso il cap (fissato a 60), e quindi con la maggior parte delle abilità già sbloccate e un equipaggiamento discreto, il gameplay trova finalmente il suo punto più alto.

In questo senso, non si può negare che la storia di Diablo III non sia molto superficiale, quasi pretestuosa, ma l’offerta ludica di Blizzard non si basa certo sulla trama: Diablo III è un gioco da finire più volte, portando quanti più personaggi possibile al livello massimo, per poi avventurarsi nel livello di difficoltà definitivo, Inferno. Non che vi sia un preciso scopo in tutto questo (a parte accumulare gli Achievement, opportunamente raccolti in una bacheca di Battle.net): il sottinteso è che il famoso “effetto droga” dei titoli Blizzard è stato ancora una volta perfettamente confezionato. Finirete Diablo III più di una volta, proprio perché ogni passata si rivela più ricca e della precedente e, anche se solo leggermente, diversa, grazie alla natura procedurale di alcuni incontri con i nemici, e alla loro capacità di effettuare attacchi sempre nuovi al crescere della difficoltà.

Quanto alla modalità Hardcore, essa non offre alcun particolare incentivo, se non il notevole brivido della morte permanente del personaggio. Cambia anche in parte il modo di giocare, dato che dovrete costringervi ad un progresso più lento e ragionato, radente il grinding in certi casi, così da limitare le possibilità di perdere per sempre il vostro personaggio – cosa che, peraltro, potrebbe comunque succedere nonostante tutte le precauzioni. Riuscire ad arrivare sino al level cap con uno di questi personaggi restituirà una soddisfazione notevole, seppure limitata alla sfera personale.

Quanto al sistema di crafting integrato nel gioco, rimane probabilmente l’anello più debole di tutta la catena. Nonostante sia possibile disincantare gli oggetti rari per ottenere le materie prime, gli elevati costi per far crescere l’abilità presso i trainer e la disponibilità di un’auction house già molto ricca dei migliori oggetti che l’endgame può offrire, rende quasi del tutto inutile il blacksmithing, soprattutto finché il personaggio non raggiunge il level cap. A quel punto, il livello massimo permetterà di creare oggetti effettivamente notevoli, buoni più che altro per fare soldi sulle auction house.

Al momento della stesura di questa recensione, né le aste con soldi reali né il PVP sono ancora stati integrati nel gioco: ci riserviamo naturalmente di tornare con approfondimenti dedicati su questi importanti aspetti.

Nel complesso, Diablo III rappresenta il perfetto dungeon crawler: bilanciato, molto più profondo di quanto una prima occhiata potrebbe suggerire, dotato di una cooperativa online straordinariamente leggera e non invasiva. Si poteva fare qualcosa meglio, o diversamente? Di certo, l’elemento meno gradito è la necessità della costante connessione online. Sebbene i problemi tecnici iniziali di Blizzard sembrino ormai definitivamente risolti, non permettere il single player in modalità offline è decisamente una scelta discutibile, solo parzialmente giustificata dal ritorno in termini di gameplay che questo concede.

Più strettamente relativo al gameplay è invece un problema legato al loot, con il drop degli oggetti leggendari, ossia i più rari e preziosi, decisamente basso. Si tratta chiaramente di un incentivo all’utilizzo dell’Auction House, che tuttavia potrebbe giungere poco gradito ai giocatori meno avvezzi al metagaming.

Questi difetti (e altri emersi dalle centinaia di recensioni e discussioni online – Diablo III non solo intrattiene, ma ognuno sembra trovarci i propri pro e contro, ndr) non sono a nostro parere compromettenti per la qualità generale del prodotto, ma non c’è dubbio alcuno sul fatto che deluderanno coloro meno propensi ad accettare scelte sostanzialmente radicali da parte di Blizzard. L’importante è sapere a cosa si va incontro, e prendere la propria decisione di conseguenza.

Diablo III soddisferà i fan del dungeon crawling con una formula finemente bilanciata, un design notevole e una rigiocabilità superlativa. Per i più avvezzi invece al GDR d’azione tradizionale, è bene tener presente che il titolo Blizzard si muove su binari diversi, offrendo una storia del tutto trascurabile e concentrandosi completamente sulla raffinatezza del combattimento, sulla gestione delle skill e sul loot.

Di certo, ammazzare mostri con i click del mouse non è mai stata un’attività tanto divertente, complessa e raffinata, e proprio questo rappresenta l’essenza di Diablo III.

Tipologia di Gioco:

Diablo III è un hack'n'slash a sfondo fantasy con elementi ruolistici, questi ultimi limitati al sistema di skill e crescita del personaggio. A definire il prodotto sono il combat system, apparentemente semplice ma supportato da un complesso sistema di abilità e conseguenti build, la cooperativa online, non invasiva e molto ben bilanciata, e la rigiocabilità. In particolare, finire una sola volta il gioco andrebbe "contro" la sua natura, in quanto il gameplay è stato studiato per dare il meglio di sé alle successive passate.

Come è Stato Giocato:

Ci siamo presi tutto il tempo per analizzare a fondo Diablo III, provando tutte le classi, i livelli di difficoltà, la cooperativa, il gioco in solitaria, effettuando vendite ed acquisti presso le auction house. Se già la prima passata a Normale ha richiesto una decina di ore, il counter segna adesso oltre 50, ed è destinato a registrarne molte altre nelle notti a venire.

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