Recensione - Child of Light - Nippofilia
A margine di giganti come Far Cry, Assassin's Creed o Watch Dogs, Ubisoft sta allevando un vero e proprio formicaio di progetti forse più piccoli ma non per questo meno interessanti. Dopo l'ottimo riscontro dei due capitoli di Rayman, l'azienda francese ha deciso di dare carta bianca ai suoi team, permettendogli di usare il framework UbiArt per sviluppare idee magari non troppo mainstream ma di certo interessanti.
lavorando su Child of Light, si è ispirata ai grandi classici dell'animazione nipponica e, per questo le ambientazioni che attraverseremo riportano alla mente le architetture dei Castelli in cielo di Miyazaki ma pure, a tratti, la complessità delle illusioni ottiche di Escher. Come in Rayman, il motore UbiArt si conferma un mezzo straordinario per la creazione di titoli bidimensionali e gli artisti di Montreal ne hanno sfruttato al massimo tutte le potenzialità: tutto il gioco è strutturato secondo quadri a scorrimento laterale che possiamo esplorare in lungo e in largo, cercando scrigni, nemici da sconfiggere o per risolvere vari enigmi ambientali. Procedendo nel corso del gioco Aurora acquisisce poi una serie di abilità che ci permetteranno di esplorare più a fondo le ambientazioni, andando a scoprire segreti e percorsi prima non raggiungibili.
Menzione d'onore, infine, per l'ottimo adattamento italiano che, sia nel doppiaggo che nei testi scritti, ha mantenuto tutte le rime presenti nella versione originale, rendendo l'avventura di Aurora ancora più surreale e onirica.
Nel complesso, dunque, Child of Light è un'esperienza ruolistica leggera ma non banale, capace di divertire qualsiasi giocatore purché, ovviamente, non si sia in cerca di un gioco alla Dark Souls II; in questo senso possiamo dire che l'esperimento di Ubisoft è riuscito piuttosto bene seppur al netto di qualche sbavatura formale che, tuttavia, non pregiudica il senso complessivo di un gioco nato come omaggio a una tradizione e che di questa tradizione recupera lo spirito più profondo.