Recensione - Broken Age Act 1

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Quote:

L’esperienza concepita da Double Fine è principalmente visiva ed esplorativa, con largo spazio per i sottotesti e gli approfondimenti narrativi.

Direttamente dal game designer di Monkey Island e Grim Fandango, ecco a voi il ritorno delle grandi avventure testuali su PC...

Recensire un gioco adventure è un’esperienza surreale.
Permetteteci di riformulare.
Recensire un gioco adventure al di fuori della nostra rubrica dedicata al retrogaming è un’esperienza surreale.

Le “donazioni libere” che hanno permesso l’esistenza di Broken Age sono state un evento senza precedenti, una vera e propria lettera d’amore dell’appassionato che, stanco di dover obbedire alle leggi del mercato, ha scelto di finanziare da solo lo sviluppo del proprio gioco preferito. Le intenzioni iniziali di Tim Schafer (game designer di Monkey Island, Grim Fandango e Psychonauts) e della sua Double Fine vennero però sovvertite nel momento in cui il contatore delle donazioni per il titolo raggiunse quota 3,336,371 $.
Il gioco non era più un’applicazione usa e getta da scaricare in qualche marketplace digitale e cancellare il giorno dopo. Era diventato un adventure ad alto budget come non si vedeva dai tempi di LucasArts e Sierra Online. I valori produttivi del titolo, la portata dello stesso, si erano improvvisamente gonfiati alle stelle. Ed eccoci quindi a Broken Age Act 1, il primo di una coppia di giochi che portano sulle spalle il peso delle aspettative di un’intera community.
 

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Sin dall’inizio, il videogioco ci presenta un’interfaccia scarna e priva di fronzoli, che ci catapulta subito all’interno dell’azione. La presentazione dell’ambientazione e l’introduzione dai personaggi non verranno affidati a lunghe cutscene, ma saranno i primi passi dell'utente all’interno del gioco a fare da prefazione e prologo. L’elemento caratterizzante del titolo è quello di poterci spostare, in qualsiasi momento, tra due personaggi e due storyline diverse. Da un lato abbiamo Shay, un giovane ragazzo che vaga nello spazio, intrappolato sin dalla nascita in un’astronave/madre con un’evidente sindrome da attaccamento ossessivo. Dall’altro abbiamo Vella, una ragazza condannata dal suo popolo a prendere parte a un antico sacrificio rituale per appagare la fame di un mostro lovecraftiano e ancestrale. Due storie diverse ma legate da temi comuni quali la ricerca dell’autodeterminazione e la fuga da imposizioni genitoriali senza senso. Un coming of (broken) age che si apre a scenari sorprendenti, false piste, sviluppi mai banali e incredibili colpi di scena. Il tutto condito da dialoghi brillanti e spesso umoristici,  in cui è possibile rintracciare un' eco dei lavori passati di Tim Schafer presso LucasArts.

Il prodotto rievoca in tutto e per tutto le vecchie avventure punta e clicca bidimensionali degli anni ‘80-‘90. La tipica sessione di gameplay è caratterizzata da spostamenti, interazioni tra oggetti e risoluzione di semplici rompicapi per mezzo del mouse. Ciò che fa brillare l’esperienza però è senza dubbio la direzione artistica. L’elemento grafico è probabilmente l’aspetto del gioco su cui è stato speso gran parte del budget. Lo evinciamo dagli splendidi fondali e dall’ispiratissimo character design.
Le varie scene che si susseguono come in un film d’animazione sembrano uscite dalla matita di un grande illustratore di libri per ragazzi. Il tratto che caratterizza i mondi immaginifici di Vella e gli ambienti sci fi di Shay appare variegato ma fortemente identificabile. L’esperienza concepita da Double Fine è principalmente visiva ed esplorativa, con largo spazio per i sottotesti e gli approfondimenti narrativi.

I puzzle e gli enigmi purtroppo sono gli elementi di gioco che più risentono questo tipo di filosofia. Se i vecchi punta e clicca ci obbligavano a frustranti sessioni in cui provavamo ogni oggetto del nostro inventario con ogni elemento ambientale, i rompicapo di Broken Age si riveleranno così intuitivi e lineari che la nostra esperienza di gioco non subirà mai neanche un minuto di interruzione. La semplicità di Broken Age non ne condiziona la godibilità e si rivela una caratteristica introdotta per avvicinare anche i neofiti a un genere sconosciuto. L’unico valore che risulta compromesso è quello della longevità, drasticamente diminuita (abbiamo finito interamente il titolo in 3 ore e 50).

Intendiamoci, non che gli adventure abbiano mai brillato per durata, ma la semplice difficoltà di molti rompicapi del passato bastava da sola ad aumentare la lunghezza di molte avventure testuali, bloccando i giocatori per giorni nelle stesse schermate (Monkey Island, giocato conoscendo già la soluzione degli enigmi, in fondo durava solo tre ore).

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Considerato che questo è solo il primo di due atti intimamente collegati, non possiamo che sospendere il nostro giudizio definitivo fino all’uscita della seconda metà di gioco. Il nuovo capitolo non solo aumenterà drasticamente la longevità del prodotto finito, ma potrà anche introdurre enigmi più difficili e storyline ancora più avvincenti. O distruggere quanto di buono era stato costruito dal suo predecessore.
Per il momento però siamo estremamente fiduciosi e promuoviamo decisamente il progetto.

Tipologia di Gioco:

Avventura testuale classica stile "punta e clicca", con grande enfasi sulla storia e sull'ambientazione.

Come è Stato Giocato:

Abbiamo testato il gioco grazie a un codice di download gentilmente fornitoci da Double Fine. Per scrivere questa recensione abbiamo completato il gioco in 3 ore e 50 complessive.

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