Recensione - Binary Domain - L'alba dei robot

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Da prendere per quello che è, uno sparatutto senza troppe pretese ma capace di inattesi colpi di genio

Recensito lo sparatutto firmato Team Yakuza

Il primo impatto con Binary Domain non è dei più incoraggianti: le prime due ore di gioco offrono ben pochi spunti originali, configurando il prodotto come uno sparatutto in terza persona sotto la media.

Questa è tuttavia solo la punta dell’iceberg: superato il primo scoglio il game design decolla, proponendo qualche buona trovata accompagnata da una storia superficiale ma divertente da seguire, anche grazie al diffuso senso dell’humour. Il risultato è un titolo ben lontano dalla perfezione ma in grado di garantire otto ore di intrattenimento a base di tonnellate di piombo e boss fight sopra le righe, con l’occasionale picco di noia o imprecazione da bug a fare da inevitabile contorno.

Al timone dello sviluppo di Binary Domain c’è lo Yakuza Studio, ben conosciuto per l’omonima serie di videogiochi, di grande successo in Giappone e di culto anche dalle nostre parti. L’esperienza del team si vede, concretizzata in un combat system molto solido.

Nel distopico futuro tratteggiato dal plot, ripetute catastrofi naturali hanno decimato l’umanità, costringendola a verticalizzare sempre più l’edilizia così da sfuggire alle inondazioni dovute al surriscaldamento globale. La costruzione delle nuove “città pensili” non è tuttavia affar semplice, soprattutto considerata la scarsa disponibilità di forza lavoro: si giunge così all’inevitabile decisione di sfruttare i progressi nel campo della robotica per produrre in serie automi umanoidi senzienti in grado di svolgere compiti quotidiani con grande efficienza.

In un contesto che ricorda molto la Saga dei Robot di Asimov (e, per diverse scelte estetiche, anche la libera trasposizione cinematografica firmata Alex Proyas), alcune multinazionali dedite alla produzione di robot si danno battaglia (economicamente e non solo) nel tentativo di ottenere il monopolio. A spuntarla è l’americana Bergen, contro la quale le cause legali intentate dalla rivale giapponese Amada ottengono ben pochi risultati. Per evitare la proliferazione incontrollata dei robot, i capi di stato si riuniscono e firmano un un’apposita Convenzione, tra le cui clausole ve n’è una molto importante: la numero 21 proibisce infatti alle multinazionali di produrre robot che possano essere scambiati per umani, e sancisce la fondazione di piccoli gruppi paramilitari, definiti Rust Crews, destinati a far rispettare ad ogni costo i principi della Convenzione.

Nei panni di Dan Marshall, classico militare ex-forze speciali tutto muscoli e dalla battuta facile, il giocatore si troverà a fronteggiare una nascente crisi internazionale dovuta proprio ad una grave contravvenzione alla Clausola 21. L’offerta ludica di Binary Domain si basa quasi interamente sulle prolungate sparatorie ambientate in livelli lineari. Per quanto il feedback delle singole armi si riveli molto curato, a rendere davvero divertente il gameplay sono soprattutto i robot contro i quali aprirete il fuoco: protetti da una sottile armatura, i nemici andranno letteralmente in pezzi una volta esposti alle raffiche di fucili d’assalto, a canna liscia e pistole (quelli più voluminosi richiederanno talvolta anche qualche lavoro di lanciarazzi…), esponendo le parti interne, perdendo arti, zoppicando, strisciando a terra. La soddisfazione generata da tale feedback visivo è notevole, ben al di là del semplice eye candy: per quanto le meccaniche di copertura e di cambio rapido delle armi riprendano di peso l’abusato concept di Gears of War, i robot di Binary Domain sono nemici molto più divertenti da eliminare di quanto non fossero le Locuste.

I riferimenti allo sparatutto di Epic Games non si fermano tuttavia all’arsenale e al sistema di coperture: durante la campagna il protagonista Dan non sarà infatti da solo, ma costantemente accompagnato da due commilitoni guidati dall’intelligenza artificiale, ai quali sarà possibile impartire semplici ordini (“fornire copertura”, “ritirarsi”, “raggrupparsi” e così via).

Non certo originale, questa formula di gameplay trova fortunatamente ulteriori approfondimenti dal punto di vista tattico grazie agli upgrade: spendendo i soldi accumulati in battaglia presso specifici terminali sarà infatti possibile migliorare l’efficienza delle armi dei singoli compagni, ma non solo. Procedendo nella campagna Dan avrà occasione di raggruppare un buon numero di appartenenti a Rust Crew di altri paesi, cosicchè tra di essi il giocatore potrà scegliere di volta in volta i due da portare con sé, decidendo in base alla loro arma (mitragliatrici pesanti, fucili da cecchino e altri ferri renderanno infatti i compagni più o meno efficaci nelle diverse situazioni tattiche). Purtroppo la differenziazione dei compagni non è uno tra gli elementi meglio riusciti della formula, tanto che a motivare la scelta sarà più che altro la personalità dei singoli.

Quest’ultima riesce ad emergere grazie alle prolungate cut scene (alcune dotate di uno spiccato senso cinematografico, lontano dai fasti di Uncharted ma nondimeno efficace) e ai brevi momenti dialogici, in cui il giocatore si troverà a scegliere una risposta tra diverse possibilità. Questo dovrebbe condensarsi, almeno in teoria, in un sistema definito Consequences, il quale dovrebbe regolare la reputazione del protagonista presso i singoli compagni, arrivando anche a decidere come essi si comportano in alcuni momenti importanti della trama. Purtroppo questo sistema risulta appannato, perlopiù incomprensibile e poco rilevante: non costituisce un intralcio al godimento del gioco, ma la sua implementazione si rivela in ogni caso del tutto inutile.

Medesimo discorso vale anche per i comandi vocali impartibili tramite microfono: l’input lag e la lentezza nel riconoscerli porta molto presto a preferire l’utilizzo del pad per rispondere quando chiamati in causa o guidare i compagni sul campo di battaglie.

Nonostante queste idee mal sviluppate, la campagna di Binary Domain riesce a divertire grazie allo shooting solido, allo smembramento dei nemici meccanici e agli occasionali scontri contro i mastodontici boss. Non mancano sequenze a bordo di veicoli, alcuni da guidare direttamente, altri dai quali semplicemente sparare a tutto ciò che si muove. Qualche scivolone di stile, leggero bug o meccanica frustrante non manca, ma nel complesso non ci si annoia per tutta la durata, anche grazie alla capacità della trama di non prendersi troppo sul serio.

Gli appassionati di scontri online rimarranno invece delusi: le classiche modalità multigiocatore sono ambientate in mappe di piccole dimensioni e scarsamente bilanciate (lo spawn camping è diffusissimo), perdipiù piagate da un diffuso lag. Meglio la modalità in stile Orda cooperativa per quattro giocatori, anche se non riserva molte motivazioni per arrivare fino in fondo.

Se a questi elementi si unisce un comparto visivo che ad un design efficace affianca una realizzazione tecnica discreta ma molto lontana dai fasti delle megaproduzioni, il risultato è un titolo da prendere per quello che è, uno sparatutto senza troppe pretese ma capace di inattesi colpi di genio. Divertirà gli appassionati di sparatutto con una spruzzata di sci-fi, a patto però di dimenticarsi del comparto online, davvero poco riuscito.

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