Recensione - Assassin's Creed Rogue

Assassin's Creed Rogue saluta la vecchia generazione di console, con l'ultima parte della trilogia americana

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Ammettiamolo, Assassin’s Creed su Xbox 360 e Playstation 3 ha detto tutto quello che poteva dire. Da Altair fino a Edward Kenway, la dinastia degli assassini è cresciuta insieme alle due console di vecchia generazione, diventando un vero e proprio simbolo dell’ultima decade videoludica. Black Flag, in questo senso, fu la summa dell’intera produzione Ubisoft, riuscendo a far risorgere la serie dopo un terzo capitolo tanto zoppicante quanto poco ispirato. Con l’arrivo di Unity la serie ha spostato armi e bagagli sulle nuove - scintillanti - sponde di Xbox One e Playstation 4. Con lo studio di Montreal impegnato nell’avventura parigina, Ubisoft ha deciso di congedarsi dalle vecchie piattaforme con un ultimo episodio, stavolta sviluppato a Sofia e dedicato a un Assassino che ha tradito la causa e si è unito all’ordine dei Templari.

Assassin's Creed Rogue, dal punto di vista narrativo, ha due obiettivi fondamentali, il primo è chiudere la cosiddetta “trilogia americana” iniziata con Assassin’s Creed III e proseguita con Black Flag, secondariamente funge da cerniera fra gli eventi avvenuti al di la dell’Atlantico e le nuove vicissitudini europee che si aprono con Unity. Shay Patrick Cormac è una recluta degli Assassini che, a causa dei suoi metodi non esattamente eleganti, finisce per fallire una missione e, perciò, si trova espulso dall’ordine. Privo di grandi scrupoli morali, il nostro protagonista decide di offrire i suoi servigi ai Templari, diventando un implacabile cacciatore di Assassini e, contemporaneamente, andando alla ricerca dei Frutti dell’Eden. La trama tiene la barra piuttosto dritta e riesce a chiudere una serie di vicende che AC III e Black Flag lasciavano ancora aperte, sia nel passato sia nel “mondo esterno” dell’anonimo impiegato Abstergo che interpretiamo. Nulla di inaspettato, sia ben chiaro, chi ha apprezzato gli altri episodi di Assassin’s Creed non avrà difficoltà nel digerire anche Rogue mentre i meno appassionati troveranno anche in questo gioco tutti i limiti narrativi e di sceneggiatura che la serie si porta dietro da sempre.

[caption id="attachment_133237" align="aligncenter" width="600"]Assassin's Creed Rogue screenshot Assassin's Creed Rogue - screenshot[/caption]

Dove Assassin's Creed Rogue non riesce proprio a convincere, però, è sul fronte del gameplay: l’intera esperienza di gioco, più che un nuovo capitolo della serie appare come una total conversion di Black Flag con nuove ambientazioni, skin diverse per i personaggi e una trama alternativa. Nulla di male, dopotutto AC IV è stato un grandissimo gioco, tuttavia, a un anno di distanza, ci sarebbe piaciuto vedere qualcosa di nuovo e, perché no, magari una variazione sul tema

"Rogue più che un nuovo capitolo della serie appare come una total conversion di Black Flag"

leggermente più coraggiosa. Rogue, infatti, non ha il peso di essere la punta di diamante della saga (per quello esiste Unity) e, perciò, poteva magari permettersi qualche eccentricità in più, qualche sorpresa, qualche sperimentazione. Il tutto, invece, si risolve con un compitino ben realizzato ma francamente non necessario e piuttosto ridondante. La nuova ambientazione nordamericana contrasta molto con il caldo e l’afa del Mar dei Sargassi, tuttavia, si tratta di ben poca cosa nel contesto di un titolo fin troppo derivativo. Ubisoft Sofia ha deciso di procedere con il pilota automatico, riciclando un grande titolo e sperando di passare la nuttata, purtroppo però l’operazione è fin troppo smaccata per essere anche solo lontanamente accettabile. Questo non significa che Rogue sia da buttar via, intendiamoci, il gioco rimane molto solido e le battaglie navali sono divertenti come sempre inoltre gli appassionati della serie potranno riempire una serie di buchi narrativi che le avventure precedenti si erano trascinate. Rimane però il rimpianto per un’occasione persa e per un titolo che non si allontana mai dall’ordinaria amministrazione diventando, per forza di cose, un clone di se stesso, grigio e senza fantasia.

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