Rebel Moon - Parte 2: la sfregiatrice, la recensione

Dopo un primo capitolo sottovalutato la bilogia firmata Zack Snyder si chiude con un film che conferma tutti i suoi limiti di narratore

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La recensione di Rebel Moon – Parte 2: la sfregiatrice, il nuovo film diretto da Zack Snyder, disponibile su Netflix dal 19 aprile.

Un critico dovrebbe capire quando è sconfitto. Ad oggi chi scrive non è convinto che il primo Rebel Moon meritasse il linciaggio ricevuto all’uscita su Netflix. Sì i difetti erano evidenti, a partire dal senso di derivatività dell’intera operazione (quasi uno spin-off non ufficiale di Star Wars), eppure il risultato ci era parso meno malvagio di quanto si dica. Tirare fuori il reclutamento di guerrieri in stile I sette samurai poteva non essere l’idea più originale del mondo; ma dava al materiale narrativo una certa varietà e propulsività, permettendo a Zack Snyder di dosare il suo inconfondibile stile di regia e lasciar respirare più del solito lo spettatore. Rebel Moon – Parte 2 però rischia di mettere a tacere anche i pochi difensori del primo capitolo.

Lasciamo stare le questioni di originalità. Il punto quando si parla di Snyder è sempre lui. Quello che funziona e quello che non funziona del suo modo (indubbiamente personale) di concepire e costruire il cinema d’azione. Se si ha voglia di stare al gioco, lo Snyder-film può essere apprezzato come un ibrido che assorbe spunti da altre arti visive: il suo uso apparentemente sconsiderato del ralenti, che porta le inquadrature a un livello di semi-immobilità, lo avvicina da una parte al fumetto – al punto che ha quasi più senso immaginare di sfogliare i suoi film che non guardarli – e dall’altra alla statuaria, con composizioni statiche che spesso somigliano più a gruppi scultorei (vista anche la sua predilezione per corpi ipertrofici e muscolosi) che non a scene d’azione tradizionali.

Probabilmente è questo il lascito principale di Snyder al cinema epico, quello che può far dire di lui che ha aggiunto qualcosa al pantheon dei Kurosawa, Lucas, Milius ripresi e saccheggiati nei due Rebel Moon. Il Ma, grosso come una casa, è che quello stile ha un prezzo in termini di economia narrativa. Se da un lato conferisce alle sue immagini un fascino solenne, dall’altro (all’estremo opposto dei montaggi schizofrenici di un Michael Bay) la sua staticità lo porta molto rapidamente a risultare pesante, difficile da digerire in un contesto action che richiederebbe dinamismo. È qui che la struttura a blocchi del primo Rebel Moon gli veniva in soccorso, limitando quello stile ad alcuni singoli momenti d’azione concitata che riuscivano a respirare all’interno di un percorso narrativo semplice e lineare.

In assenza di quelle linee guida, Rebel Moon – parte 2 riporta alla luce tutti i limiti dello Snyder narratore, incapace di concepire un film come qualcosa di più organico di un mosaico di sequenze epiche. La narrazione si sfilaccia completamente tra ripetizioni e lungaggini, come quando ogni personaggio a turno riceve il proprio vessillo di guerra, o racconta in flashback ciò che l’ha portato a unirsi alla causa della resistenza contro l’Impero. Poi inizia la battaglia, che è uno dei peggiori incubi immaginabili: un’ora abbondante d’azione in stile Snyder, non diluita in un contesto narrativo ma “allo stato puro”. Come da prassi, poi, il film si concluderà in maniera piuttosto aperta, rimandando a un probabile terzo capitolo. Ma a questo punto è difficile capire a chi possa interessare.

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