Reacher (prima stagione): la recensione

Reacher, seconda versione live action dei romanzi di Lee Child, è una serie classica ai limiti del banale, sorretta da un’ottima scrittura e da un cast perfetto

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La prima cosa che salta all’occhio guardando Reacher, la nuova serie di Prime Video tratta dai romanzi di Lee Child, è Alan Ritchson, cioè lo stesso Jack Reacher. Essendo questa la seconda incarnazione live action del personaggio dopo quella sui generis di Tom Cruise, è naturale approcciare la serie con un occhio rivolto alla carta e un altro ai film di McQuarrie; e quindi è impossibile non notare come Ritchson sia Jack Reacher. Scusate, sia proprio Jack Reacher, con un po’ di enfasi: è ovvio che l’attore protagonista della serie interpreti il personaggio principale, meno ovvio è il fatto che appena l’attore compare nell’inquadratura sembra di vedere la creatura letteraria di Child prendere vita.

Per quanto sorretto da buone sceneggiature e un’ottima regia, il Jack Reacher di Tom Cruise era un personaggio a sé che ricordava solo sommariamente quello inventato dal romanziere americano nel 1997 – a cominciare dall’aspetto fisico. Reacher, al contrario, vuol essere un’opera fedele all’originale in ogni modo possibile, anche a costo di soffrirne; e ovviamente il lavoro comincia dal protagonista. Alan Ritchson è il Jack Reacher che ci eravamo immaginati leggendo Zona pericolosa. È immenso – non necessariamente in termini di numeri, è alto “solo” 1.90, ma saggiamente gli mettono intorno un cast che lo fa sembrare almeno 10 cm più alto – e minaccioso con la sua sola presenza, il tipo di gigante che è, plausibilmente, un esercito di un solo uomo.

Jack e RoscoeNon è solo questione di altezza o di muscoli. Il Jack Reacher letterario è un mix tra Terminator e lo Sherlock Holmes versione BBC, la power fantasy definitiva: bello, intelligente, incorruttibile, severo soldato ma anche tenero amante. E lo stesso vale per il Jack Reacher di Reacher, una creatura perfetta, un monolite impossibile da scalfire, un Rambo con meno traumi e il sorriso sarcastico di quello che sa di essere sempre tre mosse in anticipo sul resto del mondo. È il cuore della serie, il monumento intorno al quale ruota tutto quanto, e il fatto che sia così azzeccato basta da solo a elevare la creatura di Nick Santora ben sopra la sufficienza.

Al resto ci pensano due cose. Innanzitutto il già citato resto del cast: come Ritchson è perfetto, così lo sono Malcolm Goodwin (Finley) e soprattutto Willa Fitzgerald (Roscoe), che tira fuori tutta la ragazza del sud che c’è in lei e dà vita a un personaggio femminile solo in parte appesantito da qualche inevitabile (ci torniamo) momento damsel in distress. La chimica tra i tre, che si improvvisano improbabile squadra di detective per risolvere un intricatissimo caso di contraffazione, è sublime, sia quando si ride e si scherza (Reacher ha più di un sorprendente momento comico), sia quando le cose si fanno serie.

Jack Reacher

E poi c’è la storia, ovviamente, presa di peso dal primo romanzo di Lee Child, lievemente aggiornata all’epoca di Internet e degli smartphone, ma per il resto quasi intatta, nella struttura generale e anche nello svolgimento più granulare. In altre parole, se avete letto il libro sapete già tutto o quasi tutto, e tutti i pregi e i difetti della storia di questa prima stagione si possono far risalire alla fonte originale. Da un lato Child ha inventato un intrigo internazionale che è divertente da spacchettare a colpi di rivelazioni e colpi di scena, e contiene anche parecchi spunti interessanti che vanno al di là della finzione. Dall’altro la prima storia di Jack Reacher è quanto di più classico, e a tratti banale, che sia mai stato partorito nel genere.

C’è una piccola città in mezzo al nulla, Margrave, nella quale, come da tradizione western, arriva il cavaliere solitario senza passato e porta con sé il caos. C’è un ricco imprenditore locale e benefattore della città, le cui attività nascondono ovviamente un lato oscuro. Ci sono poliziotti corrotti, complici innocenti e un sindaco viscido e prepotente. C’è anche molta violenza, mostrata senza remore quasi a sfiorare la pornografia, con momenti di crudeltà quasi fincheriana. Jack Reacher tira un sacco di schiaffi, molla un sacco di calci e spacca o fa esplodere tutto quello che gli si para davanti per fermarlo. È tutto deliziosamente prevedibile, e girato con linearità, quasi al risparmio: la messa in scena è quella di una serie thriller di vent’anni fa, senza particolari guizzi ma con coreografie pulite ed eleganti nelle scene d’azione, e una gran quantità di campi e controcampi banali ma tutto sommato funzionali.

Reacher JackSe cercate una serie innovativa, originale o sperimentale girate molto alla larga da Reacher, che è una delle opere più classiche e classicamente televisive che si siano viste nel genere di recente (ogni episodio finisce con un cliffhanger che sembra pensato per una programmazione settimanale più che per il binge compulsivo). Se invece volete la miglior trasposizione possibile di un romanzo molto divertente, messa in scena con rigore e senza troppi arzigogoli, siete arrivati nel posto giusto. Peccato solo per quel finale, che pur citando apertamente Senza tregua di John Woo non riesce a essere il climax esplosivo che forse vorrebbe. Ma la promessa finale è chiaramente quella di nuove stagioni e nuove occasioni per vedere Jack Reacher all’opera, e la strada è quella giusta.

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