Ratatouille

Un topo diventa, con l’aiuto di uno sguattero, cuoco di un ristorante. I sogni si possono realizzare, come dimostra l’ultimo fantastico film della Pixar

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloRatatouille
RegiaBrad Bird & Jan PinkavaVoci originali

Patton Oswalt, Ian Holm, Lou Romano, Brian Dennehy, Peter Sohn, Peter O'Toole, Brad Garrett, Janeane Garofalo

Uscita17 ottobre 2007

Cosa chiede il pubblico cinematografico moderno? A differenza del critico culinario Anton Ego, che vuole essere sorpreso, sembra che invece le platee di tutto il mondo vogliano andare sul sicuro e riprovare piatti ben conosciuti fino alla nausea. Come si spiegherebbero i risultati non straordinari di Ratatouille (decisamente inferiori agli altri titoli della Pixar) rispetto ai soldi incassati da prodotti come Shrek Terzo e I Simpson, che altro non fanno che ripetere una formula che già conosciamo a memoria, senza peraltro nessuna verve particolare?

Quello che fa la Pixar (così come lo studio Ghibli e, quasi sempre, la Aardman) è diverso, tanto che talvolta ci si scorda che si ha a che fare con l’animazione e non solo per l’incredibile livello tecnico raggiunto, ma proprio perché si evitano molte trappole di questo mezzo di espressione. Sarebbe facile puntare sempre sulle gag citazioniste (quelle sempre facili da capire per il pubblico, ma che lo fanno sentire tanto intelligente, come l’affondamento-Titanic dei Green Day ne I Simpson), ma alla Pixar fortunatamente si ricordano di avere delle storie da raccontare, ossia delle strutture fragilissime che non possono essere messe in secondo piano rispetto ad una risata facile.

Penso, per esempio, al personaggio del fratello di Remy, molto divertente ma non preponderante come sarebbe stato in altre pellicole. O a quello di Colette, che senza perdere troppo tempo in chiacchiere fa un discorso tutt’altro che banale sull’industria culinaria e l’uguaglianza tra i sessi.
E che dire del critico culinario? La sua evoluzione (nonostante sia un personaggio che appare sì e no dieci minuti) è fantastica, così come tutto il discorso sulla critica e la creazione, che assume maggior peso perché chi si occupa di critica gastronomica ha un potere che i recensori cinematografici si sognano. Anche le metafore (che in altre occasioni sono talmente lampanti da non poter più essere definite tali e che invece risultano pesantissime) sono fatte in punta di forchetta e in maniera intelligente. Infatti, come non pensare alla situazione del cinema americano moderno quando vediamo il nome del celebrato Gusteau accostato a dei surgelati commerciali? Non è, infatti, buona parte del cinema a stelle e strisce un puro prodotto di consumo senz’anima e creatività?

La Pixar, insomma, non ha paura di rischiare e non fa le sue scelte esclusivamente in base al fatturato e agli azionisti. Altrimenti, Ratatouille sarebbe stato molto diverso, magari con più spazio lasciato alle improvvisazioni degli attori o premendo più spesso sul pedale dell’acceleratore. Invece, ecco che il film non si fa problemi a mantenere spesso un ritmo tranquillo, per poi scatenarsi molto efficacemente quando ci sono da creare scene da slapstick comedy. Peraltro, impressiona decisamente una sequenza quasi horror, che i realizzatori inseriscono con molto coraggio.

Insomma, cosa è stato a non convincere un pubblico più vasto a vedere Ratatouille? Forse il titolo stesso, che come viene detto anche nel film, “non ha un suono allettante” e che potrebbe essere risultato troppo sofisticato per alcuni. Di sicuro, se questa è la ragione, l’idea di chiamate una pellicola WALL•E non sembra promettere nulla di buono…

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