Rampart - la recensione

[San Sebastian Film Festival] Il nuovo film di Oren Moverman scritto con James Ellroy risulta un poliziesco purtroppo dimenticabile...

Condividi

Oren Moverman è uno di quei cineasti da cui ti aspetti sempre qualcosa di importante. Da regista in relatà ha firmato solo una pellicola, quel Oltre le regole - The Messenger passato quasi nel completo silenzio in Italia, ma capace di arrivare a due candidature agli Oscar (sceneggiatore e attore protagonista), ma da sceneggiatore c’è il suo nome dietro i vari Io non sono qui e Jesus’ Son.

Israeliano trasferitosi ventiduenne nel 1992 a New York, con Rampart, storia del progressivo autoannientamento di un poliziotto dai modi rudi e fuori dalle regole, Moverman è riuscito a coinvolgere nella sceneggiatura nientemeno che James Ellroy (è suo il soggetto e la co-sceneggiatura), confermando, rispetto al suo film d’esordio, Woody Harrelson come protagonista, mentre l’altro protagonista di The Messenger Ben Foster qui stavolta ha giusto un cameo, oltre che un credit di co-produzione.

Moverman insomma cerca di giocare sul sicuro: un bel cast (ci sono anche Robin Wright, Sigourney Weaver, Anne Heche e Steve Buscemi), uno straordinario scrittore e sceneggiatore, forse il più grande quando si parla di polizieschi, e lui stesso in cabina di regia, per una seconda prova che dovrebbe dare conferma di quanto fatto vedere due anni fa.

Il risultato purtroppo è abbastanza anonimo. In questa sorta di Cattivo Tenente soft con un protagonista odiabile ma non troppo, non vi è alcun accenno religioso, né un’indagine da finire che davvero tenga alta la suspense. La narrazione procede a strappi immettendo sempre nuova carne sul fuoco per dare un minimo di ritmo, ma senza chiudere alcun cerchio. E va bene che si tratta di un film “character driven”, in cui i minuti di pellicola servono per scavare dentro il personaggio e la storia intorno è più che altro pretestuosa, ma non lo si fa fino in fondo, non c’è empatia, né il non detto (come il background emozionale del protagonista) è immaginabile grazie a particolari dialoghi o scene emblematiche.

Non che ci si annoi: Moverman bene o male sa girare (a parte un insopportabile girotondo intorno al tavolo che tanto ricorda i ghirigori di Ozpetek), Harrelson è sempre un piacere da guardare e l’atmosfera sinistra delle strade assolate di Los Angeles evoca da sola così tante storie cinematografiche che ci si aspetta sempre da un momento all’altro una bella sparatoria catartica, ma le premesse erano ben altre...

Continua a leggere su BadTaste