La vera famiglia non è necessariamente quella naturale ma quella che ci cresce e poi quella che scegliamo per noi stessi. Alla fine è di questo che parla
Il Ragazzo Invisibile: Seconda Generazione, non è il tema che sottende le avventure di Michele, è proprio ciò in cui il film investe la maggior parte delle energie, quello che interessa di più chi l’ha scritto e diretto, nonostante ci sia tutto un grande agitarsi attorno alla storia dei poteri e della vendetta contro il signore del gas che aveva intrappolato gli “speciali”, aveva fatto esperimenti su di loro e adesso vuole installare uno dei suoi gasdotti proprio a Trieste, città di Michele. Un villain che purtroppo non riusciamo mai a percepire come tale e che non hai mai modo o tempo di guadagnarsi una propria personalità.
Questo secondo film di Il Ragazzo Invisibile conferma la pessima recitazione vista nel primo (qualcosa di davvero difficile da spiegarsi) e cambia leggermente tono per adeguarsi alla nuova età del protagonista e (si suppone) del pubblico, proponendo un Michele cresciuto e magrissimo nello stesso costume di pelle nera che ora però lo fa sembrare uscito dal baule di Zed in Pulp Fiction. Più musica, più sentimento, meno senso d’inadeguatezza e più conflitti da coming of age. Ma il problema non è davvero quello.
Sommando ispirazioni da
Harry Potter,
L’Uomo Ragno,
X-Men e l’Olocausto, l’unico franchise supereroistico italiano procede cercando di fondare una mitologia nostrana del cinecomic (c’è anche un inizio da Marvel con le pagine del fumetto che è stato dedicato al primo film), ma procedendo in un’altra direzione rispetto a
Lo Chiamavano Jeeg Robot, una che non cerca il divertimento sfrenato ma che mette in scena la pensosità dell’essere supereroi, che sembra realizzata da persone che non vedrebbero questo film se non ci dovessero lavorare.
Accumulando leggerezze e imprecisioni che condannerebbero senza appello qualsiasi film americano sullo stesso genere, e che qui invece appaiono più o meno in linea con il disinteresse del film verso la sua parte più avventurosa, Il Ragazzo Invisibile: Seconda Generazione non migliora quel senso di “fuori posto” che si avvertiva nel primo né fa molto per essere più preciso e credibile. Michele si trasferisce con la madre originale in una casa incomprensibilmente diroccata (è occupata?) per essere abitata, la madre originale (Valeria Golino) esce di scena prima di questo film (ma dopo il precedente) e la cosa ci viene raccontata come se dovessimo già saperlo, infine nel gran finale d’azione non è ben chiaro come mai non si sottolinei che diverse persone hanno visto Michele usare i poteri da dentro un pulmino da che doveva tenere tutto nascosto.
E dire che diversi spunti della trama non sarebbero male e fanno di tutto per inglobare la direzione in cui i blockbuster americani stanno andando (una per tutte il fatto che a un cattivo si contrapponga un’altra fazione non necessariamente buona, a cui il protagonista dovrà capire di non dover appartenere per forza). Inoltre non è male, per quanto abbastanza convenzionale, l’idea che gli speciali in giro per il mondo vengano ripescati uno a uno (anche se non sappiamo come siano riuniti, come si muovano, con quali fondi ecc. ecc. tutti dettagli una volta superflui ma che oggi sono fondamentali in un franchise che voglia creare un universo in cui reggersi) e non è nemmeno male l’idea di persone con i superpoteri trattate come gli ultimi, come barboni che non hanno un posto nel mondo e vivono di espedienti, sfruttando il fatto che nessuno sa che loro esistono.
Però di nuovo si ha sempre l’impressione che anche le piccole e sparute buone idee non siano mai messe a frutto e che quel che vediamo sia pensato più per il suo effetto immediato, che per costruire una storia credibile.