Il Ragazzo Invisibile, la recensione

Pensato per un target molto più basso di quello dei cinefumetti e girato da un punto vista paternalista Il ragazzo invisibile non è quel che ci aspettava

Critico e giornalista cinematografico


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Avevamo tutti un'idea di cosa dovesse essere Il Ragazzo Invisibile, cosa volevamo fosse: da chi sperava in un blockbuster americano in tutto e per tutto, a chi si augurava una via italiana al genere, a chi infine, visto il coinvolgimento di Salvatores, auspicava qualcosa di più alto, più vicino a Lasciami entrare. Il film invece, benchè cerchi di trovar casa tra una vita italiana e un prodotto più d'autore che commerciale, non è niente di tutto ciò e forse in questa sta la sua maledizione peggiore.

Il ragazzo invisibile è una storia di bambini più che ragazzi, raccontata perchè sia comprensibile più agli adulti che ai "giovani adulti" (il target a cui gli americani indirizzano i loro cinefumetti), più ai bambini stessi che agli adolescenti. È paternalistico e poco smaliziato, non indugia su quel che può affascinare un ragazzo ma su quel che gli adulti amano pensare dell'età preadolescenziale. È insomma difficile immaginare che un film simile possa appassionare le stesse persone che affollano le proiezioni di Avengers o Iron Man, di Il Cavaliere Oscuro o anche Lucy per come manca di qualsiasi sensazione forte.

Scritto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo il film ha un soggetto impeccabile (ci sono le origini degli eroi, ci sono molti poteri, dei rapporti genitore/figlio che funzionano, c'è una società segreta e la minaccia che costringe il protagonista a fare l'eroe benchè ne sia riluttante) ma decide di svilupparlo guardando i suoi bambini dall'alto verso il basso con la tenerezza del genitore invece che con il fomento del coetaneo. I poteri non sono mai fonte di esaltazione per le possibilità che offrono e la svolta che danno alla vita del piccolo Michele, ma più una maniera per svelarne le insicurezze, con la certezza che esse siano solo parte di una fase transitoria. Nemmeno i suoi coetanei quando lo scoprono si esaltano! Cosa ancor più lontana dal cinema americano, i poteri sono fonte di pochissima azione o avventura ma più di esplorazione interiore. Se nel finale qualche sequenza avventurosa mostra i confini dell'essere invisibile e ciò che consente di straordinario (roba all'acqua di rose sia ben chiaro!), in realtà per la gran parte del film viene ripetuta a gran voce la metafora del non essere visti in un'età in cui si vorrebbe scomparire.

Con rammarico non si può non constatare che alla fine Il ragazzo invisibile non riesca ad essere nulla di tutto quel che si auspicava: non esalta il pubblico con l'esplorazione di possibilità incredibili in una vita credibile nè smuove qualcosa di inedito in una mitologia, quella dei supereroi, nota e consolidata.
L'impressione è che, in una trama ben concepita e in una location perfetta (peccato ci siano poche scene di vento triestino che donano a quel paesaggio un che di irreale e fumettistico!), Gabriele Salvatores abbia concentrato la propria attenzione sugli aspetti meno interessanti, guardando le parti meno clamorose e i risvolti più scialbi. C'è tutto un altro possibile film che si è svolto durante la storia di Il ragazzo invisibile... ma che non è stato filmato.

In chiusura, va detto che esibire il backstage dei (peraltro normalissimi) effetti speciali durante i titoli di coda sveli l'immaturità di una simile produzione rispetto al genere cinematografico cui appartiene.

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