Le mie ragazze di carta, la recensione

Dentro a Le mie ragazze di carta ci sono molti, troppi temi, isolati e affiancati, mai mescolati come dovrebbero

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Le mie ragazze di carta, al cinema dal 13 luglio

Nella provincia italiana degli anni ‘70 un ragazzo passa dall’essere bambino all’essere adulto, attraversa il suo scatto puberale adolescente nel momento in cui dalla campagna la sua famiglia sì trasferisce in città, a Treviso, e va a vivere davanti a un cinema che a poco dal loro arrivo diventa un cinema porno. Ci sono tantissime cose in Le mie ragazze di carta, un film breve e piccolo nella forma ma epico nelle ambizioni e negli spunti. Perché attraverso l’infanzia del protagonista vediamo il passaggio cruciale della nostra società da contadina a urbana attraverso il personaggio della madre e il suo desiderio di denaro, ricchezza e avanzamento sociale attraverso lo status symbol (il televisore a colori), vediamo il passaggio da un retaggio conservatore ignorante perché chiuso nel suo mondo contadino a quello più aperto del padre che disprezza un travestito cui porta la posta fino a che non lo conosce e si apre ad un mondo nuovo (come se nella città la madre diventasse conservatrice e il padre progressista, la divisione cruciale della nostra società). E vediamo anche il passaggio di costume del cinema che diventa porno con grande successo e contemporanea condanna dei suoi stessi spettatori che non vogliono quell’indecenza.

Non finisce qui. Ci sono un prete con famiglia in Africa che cerca di farsi mandare lì, c’è un compagno di classe che vive lo scatto sociale (è il figlio del gestore del cinema ora diventato porno) e ci sono tante donne diverse. La ragazza che il protagonista non ha capito che in realtà stravede per lui e c’è Milly d’Italia, la pornostar di cui è innamorato e che sogna (e prova a incontrare). Tantissimo per un film solo, che fatica a contenere così tanti spunti, storie e temi. Non li amalgama bene, anzi li tiene distinti e così è costretto ad affrontarli separatamente, uno alla volta, dando l’impressione di superficialità invece che di un tutto coerente. 

Luca Lucini come sempre è molto fluido nel suo storytelling, va a trovare i personaggi con grande delicatezza, ma non è altrettanto attento nella direzione degli attori, spesso grossolana. Le mie ragazze di carta in fondo è la storia di alcuni maschi (principalmente padre e figlio) e del loro rapporto con le donne (la pornodiva e la ragazza di scuola, la moglie e il travestito). Maya Sansa non rende giustizia al personaggio della madre, con un occhio sempre esageratamente aperto, come in uno stupore continuo di tutto, e Cristiano Caccamo come travestito sensibile, indifeso, fragile e pieno di problemi è insufficiente. È l’imitazione di qualcosa di delicato.

A sorpresa quindi sono i ragazzi, i veri protagonisti, che spesso trovano la tigna giusta, il desiderio giusto e la strana complessità della loro età. Certo la confezione del tutto è quello che è, nulla di particolarmente raffinato (come invece Lucini aveva fatto in passato), fotografato con il filtro instagram del cinema italiano ambientato negli anni '70 e soprattutto tutto troppo convenzionale per una storia che invece in sé aveva più possibilità da offrire. La confezione è così incolore da non riuscire mai a entrare in sintonia con una sceneggiatura che invece sembra sognare tutto un altro afflato, tutta un'altra possibilità di parlare di grandi questioni con una piccola storia.

Continua a leggere su BadTaste