La Ragazza del Treno, la recensione

Concentrato nell'assegnare colpe, La Ragazza Del Treno nel suo ricostruire la figura femminile sfocia nella più infantile ripicca perdendo ogni interesse

Critico e giornalista cinematografico


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Come tutte le storie di risalita dall’abisso La Ragazza del Treno è a suo modo un thriller. Una storia in cui i colpi di scena arrivano grazie ad una costruzione figlia della volontà di mandare in aria il racconto lineare e poi ricostruirlo assieme alla ricostruzione della protagonista, inizialmente derelitta, ubriacona e disperata viaggiatrice su treni che passano accanto alla sua ex dimora in cui ha lasciato la propria dignità insieme ad una vita che ha distrutto, poi sempre più donna fiera.

È in controluce ciò che sta accadendo alla narrativa popolare del cinema e della letteratura, ovvero la ricostruzione delle figure femminili dopo che decenni in cui hanno fatto da tappezzeria nella stragrande maggioranza dei film, quasi mai sfruttate come avrebbero meritato. La Ragazza del Treno, accusata di tutto, è un soprammobile nelle vite altrui e guarda altre donne essere soprammobili al posto suo, invidiandole per giunta.

E nel film, come al cinema, l’ascesa della figura femminile passa inevitabilmente per la demolizione della controparte maschile. Come se non si potesse rendere giustizia ad entrambi i sessi contemporaneamente, in un meccanismo di perversa vendetta mista a facilissimo femminismo, i personaggi maschili sembrano subire quel che per decenni hanno subito quelli femminili. Senza personalità reale, macchiette esagerate la cui esistenza è finalizzata unicamente all’esaltazione della controparte.

A perderne ovviamente è il film, che dimostra così una scrittura infantile e banale, che manca l’appuntamente con un villain, un opposto dialettico o anche solo un altro punto di vista capace di dare serietà alla sua storia. Invece così com’è la purificazione di una donna che viene presentata come spettatrice di vite altrui da dietro un finestrino, diventa una storia che liscia il pelo al proprio pubblico di riferimento, ne solletica gli istinti vendicativi come fosse un B movie (ma senza quell’onestà e quell’asciuttezza) invece che mettere in scena la complessità della sua situazione di partenza.

Nonostante problemi di alcol, problemi di memoria e problemi di autostima si concentrino benissimo in Emily Blunt, specie nelle prime scene, lei rimane l’unico motore di una storia troppo simile ad un thriller televisivo per avvincere realmente. Eppure anche in questo il film si dimostra meno complesso di quel che vorrebbe perchè pur nel suo desiderio di ricostruire una donna demolita, La Ragazza del Treno insiste sul più classico clichè del corpo femminile al cinema, cioè il suo attirare dolore e sofferenza, crogiolarsi in muti e sofferti silenzi, piangere all’improvviso, addossarsi colpe, scoppiare in isteria, sopportare angosce e responsabilità fino a crollare schiacciato.

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