La donna più fortunata del mondo, la recensione

Una storia di violenza sulle donne trattata come un thriller in cui il risultato dei traumi, i mostri, sono i corpi delle star

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La ragazza più fortunata del mondo, su Netflix dal 7 Ottobre

Inizialmente si potrebbe pensare di essere davanti ad una versione femminile di American Psycho, tanto la protagonista sembra l’equivalente moderno di Patrick Bateman. Ha un lavoro tra i più desiderabili (redattrice in un magazine femminile) anche se vuole fare più carriera, è coperta di status symbol e la sua lotta quotidiana con le donne che la circondano è fatta proprio di quello, di brand, di denaro esibito e di adesione alla parte più esclusiva della razza umana. Si deve sposare con un uomo ricco tuttavia continua ad avere visioni di sangue e violenza. È perfida, è disposta a tutto e non dice mai apertamente quello che pensa. 

C’è un mondo dentro questa protagonista fatto di cinismo e calcolo personale che non ha molto a che vedere con l’immagine rassicurante che proietta. Questo la differenzia subito da Patrick Bateman, il fatto che siamo con lei, sentiamo i suoi pensieri e ne ammiriamo la doppiezza al lavoro. Ci vorrà un po’ per capire che questo mostro sociale della diseguaglianza è nato da un trauma. C’è della violenza nel suo passato ma non immaginiamo quanta e di quanti tipi diversi. Tutta una parte in flashback che si alterna al presente ci fa comprendere lentamente attraverso cosa è passata per uscirne così. Intanto un regista di documentari vuole intervistarla come parte di un’indagine sui fatti del suo passato, riportando a galla quello che lei cerca di nascondere.

È una storia di violenza sulle donne questa, che si sublima in una violenza ancora più grande, ma la cosa più interessante è che al contrario di Una donna promettente qui si è scelto di usare un’antieroina, qualcuno che ha fatto diversi patti con il diavolo a seguito di quel che ha subito per rispondere alla maniera in cui la società l’ha accusata. Il principale di quei patti è principalmente dimagrire, cambiare il proprio corpo, cambiare abbigliamento e atteggiamento per aderire ai modelli di bellezza, al silenzio, all’essere una moglie trofeo di un marito che è un trofeo per lei stessa (ma questo lo tiene per sé). Si è voluta trasformare e non è diventata qualcosa a caso, è diventata Mila Kunis, una star.

I modelli più integrati nascono nel sangue, dice La ragazza più fortunata del mondo, sono mostri frutto della meschinità umana, ed è ancora più forte che lo dica attraverso il corpo di una star. Mila Kunis non interpreta la giovane sé (quella più in carne e meno apprezzata), lei con la sua bellezza e il suo potere attrattivo (attrattiva sessuale ma inevitabilmente anche attrattiva per il pubblico) è la strega cattiva, è il risultato del trauma, lo specchio di una personalità ferita in cerca costante di vendetta. Il corpo delle star del cinema, ovvero il massimo del mainstream e del pensiero imperante, è il modello a cui si giunge dopo un trauma, grazie al desiderio di riscatto. Lo dirà lei stessa ad un certo punto che quel nuovo sé è ciò che ha inventato per piacere alla gente, ed è esattamente quello che fanno gli attori, inventare continuamente un sé (cioè una personalità pubblica) fatto di estetica e moda e apparenza per piacere alle persone.

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