The Quiet Girl, la recensione
Con la sua capacità di procedere per piccoli avanzamenti The Quiet Girl sa benissimo come essere sentimentale senza essere smielato
La recensione di The Quiet Girl, in sala dal 16 febbraio
The Quiet Girl è la storia di una bambina di 9 anni che nel 1981 viene affidata agli zii per l’estate. La sua famiglia è povera e la madre di nuovo incinta, mantenere anche lei è difficile, così almeno per l’estate va nella casa in campagna degli zii che sono un po’ più abbienti. Lì questa bambina quieta e introspettiva, molto tranquilla e spaventata da tutto, con ritrosia si apre a qualcosa che non si può definire in altra maniera se non “umanità”. Lungo il corso delle giornate con la zia o con gli altri parenti, in cui tutto è sussurrato e le immagini si affiancano come in un film diTerrence Malick (uno di quelli buoni però!), Cáit passa dall’essere un cucciolo ferito ad essere solo una bambina timida e forse, quasi e per certi piccoli momenti addirittura “felice”.
Tutto questo da solo sarebbe sufficiente a vincere qualsiasi cuore ma non si può negare che poi il lavoro fatto da Colm Bairéad sulla specificità locale, cioè sulla natura irlandese, sui volti e sulla lingua gaelica diano al film una personalità fortissima. The Quiet Girl non somiglia a niente altro e nonostante non abbia la flagrante e contagiosa capacità di incontrare il gusto di un pubblico non per forza di nicchia di Aftersun, è probabilmente un film molto più ambizioso e ugualmente riuscito. E quando arriva il finale sa anche dare il colpo che ci vuole al pubblico e lasciargli dentro un macigno emotivo difficile da dimenticare.