Questione di Karma, la recensione

Funestato dai soliti problemi e dalla melassa delle commedie italiane, Questione di Karma dimostra per la seconda volta quanto Falcone lotti per la sua originalità

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Un giorno dovremo fare un’analisi seria, ponderata, coerente e molto ben argomentata su come mai il cinema italiano, specie la commedia, abbia questa tendenza malsana verso una tenerezza da quattro soldi. Quella delle dolci voci flautate fuori campo, della grande sensibilità interiore, dei carrelli lenti, dei bimbi che colorano e dei grembiuli con il fiocco grande. Un’estetica da pubblicità che, a tutti gli effetti, tenta di vendere un sentimento invece di scatenarlo, tenta di convincere lo spettatore a provarlo invece di suscitarlo di nascosto. Ed è davvero un peccato, perché anche stavolta la tenerezza ostentata e fuori luogo, così povera e alla buona, rovina un film che avrebbe ben più di un elemento di interesse.

Edoardo Falcone, al secondo film, dimostra di essere molto diverso dagli altri autori di commedie. Ha un’idea di umorismo che non esce dalle singole gag, che non dipende dalle frasi ad effetto o dalle battute, ma è frutto di un lavoro molto acuto sulla recitazione, qui ancora più sofisticato che in Se Dio Vuole. I film di Falcone sono molto semplici e non si vergognano di esserlo, hanno aspirazioni controllate e, se si esclude la succitata tenerezza, non hanno velleità fuori misura, sembrano sapere bene cosa sono riuscendo così ad essere molto più onesti e godibili della media. Stavolta la storia di un ricco invasato di religioni orientali che si fa convincere con poco che un truffatore da 4 soldi è la reincarnazione del padre che si suicidò quando era bambino, sembra uscita da una commedia degli anni ‘50 e la scelta (di nuovo) di lavorare sugli attori e sulla recitazione in maniere sconosciute alle altre commedie (che paiono puntare la videocamera e chiedere agli attori di ripetere quel che sanno fare) paga molto.

Falcone invece è uno dei pochi registi che riesce a lavorare con il cast in controtendenza. Se ha faticato molto a rendere Giallini “poco Giallini”, con De Luigi ci riesce bene, e soprattutto ha una capacità tutta sua di mettere in evidenza i fisici tramite costumi e inquadrature (sempre a tre quarti, dei piani americani che tengono in scena il corpo nella sua quasi interezza). In Se Dio Vuole era la camminata di Giallini l’elemento più evidente, questa volta invece è il fisico segaligno di Elio Germano a dominare ogni scena, dinoccolato e dinamico, protagonista più dell’attore che lo possiede, capace di parlare più di ogni scambio di dialoghi della personalità del personaggio.
Non basta però questo, Questione di Karma, sebbene inizi malissimo, con una gran fatica e un abuso delle solite musiche terribili delle commedie italiane (un’appendice a parte del trattato sulla tenerezza andrà dedicato agli score), prende un bell’abbrivio al tendersi della trama.

Con il suo incedere Questione di Karma comincia a permettersi alcuni momenti di umorismo di montaggio (specie con il vicino di casa Massimo De Lorenzo) e dimostra di avere idee complesse per il cast di contorno su cui regna il lavoro delicatissimo di tempi e silenzi fatto con il patrigno austero di Eros Pagni. Addirittura anche il finale, una volta tanto, convince. Non è certo la perfezione ma più di quanto ci si aspetti da qualsiasi commediola italiana, un tentativo di lavoro serio e ponderato sul livello medio del cinema, sul fatto che si possa fare un intrattenimento senza eccessive pretese, non buttato via e anzi lavorato con un più che accettabile grado di maestria.

Continua a leggere su BadTaste