Queer As Folk (stagione 1), la recensione

Il reboot di Queer As Folk opera un aggiornamento efficace della serie cult, perdendo talvolta in profondità ciò che guadagna in diversità

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La nostra recensione di Queer As Folk, disponibile su STARZPLAY

Spari come spartiacque tra il prima e il dopo; una linea di demarcazione incancellabile che spacca a metà le esistenze dei protagonisti di Queer As Folk, reboot tutto nuovo dell'immortale show creato da Russell T. Davies, già trasposto per il pubblico statunitense nei primi anni 2000. Nel primo episodio di questa rutilante, fresca versione della serie, la violenza irrompe con sconvolgente fragore nei panni di un anonimo assassino che spara sulla folla radunatasi al Babylon. All'interno del club, in questa disgraziata sera, convergono le esistenze di tutti i personaggi principali, in un caleidoscopio di glitter e sangue che colpisce lo spettatore e getta delle basi molto cupe per il prosieguo della trama.

E invece no. Queer As Folk allontana ben presso il rischio di precipitare nel melodramma, sollevando i protagonisti dal dover incarnare lo stereotipo del sopravvissuto. Come a dire: queste persone non sono mere vittime, e la loro complessità va ben oltre il trauma vissuto. Seguiamo quindi le vicende di Ruthie (Jesse James Keitel), insegnante trans alle prese con gioie e dolori della maternità; seguiamo Brodie (Devin Way), tornato a New Orleans dopo anni di distacco per ricucire rapporti interrotti da tempo; Noah (Johnny Sibilly), ex fidanzato di Brodie che ha perso il proprio partner nella sparatoria al Babylon; e infine Mingus (Fin Argus), adolescente non binario che proprio la notte del massacro si stava esibendo per la prima volta come drag queen.

Fili di tra(u)ma

Come detto, Queer As Folk risparmia ai suoi personaggi l'ingrato ruolo di maschere tragiche, recuperando fulmineamente un tono piacevolmente leggero e frizzante. Non si deve però scambiare questa scelta per vacuità, poiché il ricordo dell'eccidio del Babylon serpeggia comunque sotto la superficie. Eppure, ciò che lo showrunner Stephen Dunn vuole portare alla luce è un mosaico umano animato da una sana fame di vita; inoltre, dà priorità alla rappresentazione dei suoi protagonisti, a chiarire l'eterogeneità della comunità LGBTQ+. La diversità diviene strumento narrativo, a formare un coro mai omogeneo eppure armonico.

È altresì vero che, nel tentativo di mostrare quante più incarnazioni differenti della comunità arcobaleno, Queer As Folk finisca per lasciare indietro alcuni personaggi; lo stesso Mingus, celebrato nel primo episodio come pilastro fondante della serie, raramente si distacca dal suo essere manifesto della propria identità di genere. Ecco quindi dinnanzi a noi una distesa coloratissima di onde vivaci, sotto cui però intuiamo esserci una profondità assai variabile. In questo senso, il reboot di Queer As Folk perde forse qualche colpo rispetto alla serie (anzi, alle serie) da cui ha origine; bastano però alcune rapide pennellate di verità a ricordarci il nobile intento di rappresentare le storie queer all'interno della serie con onestà totale, senza alcun velo mistificatore atto a renderle appetibili alla totalità del pubblico.

Un coro affascinante

A garantire mordente nei momenti più blandi c'è un cast di sfavillante talento, capace di restituire tanto le nuance più accese quanto le tinte più tenui delle proprie storie. Qualche ingranaggio narrativo risulta un po' troppo evidente; nulla, però, che possa guastare irrimediabilmente la visione di questa ode alla vita e alla diversità. Più che a un reboot a tutti gli effetti, siamo davanti a una revisione responsabile, mai dimentica di ciò che Queer As Folk ha significato per gli spettatori del 2000; la celebrazione della propria unicità si ammanta qui di una nuova veste, ricordando - attraverso il massacro al Babylon - come nulla, neanche la follia omicida diretta verso l'altro, possa bloccare l'autoaffermazione di una comunità.

In conclusione, Queer As Folk riesce nel suo intento di reinventare una pietra miliare della televisione, rendendola veicolo di ritratti contemporanei del mondo LGBTQ+. La serie perde qualche colpo in termini di approfondimento psicologico; tuttavia, la speranza è che una prossima stagione possa contribuire a rendere del tutto tridimensionali i protagonisti della serie. Nell'attesa, applaudiamo l'intento di avvicinare un nuovo pubblico a storie non più rivolte ai soli membri della comunità arcobaleno. Lode a questo Queer As Folk, che raccoglie una gravosa eredità e la declina con intelligenza, sublimandola in un'opera al contempo familiare e innegabilmente fresca.

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