Queenpins - le regine dei coupon, la recensione

Queenpins - le regine dei coupon si ispira a fatti realmente accaduti ma è un racconto forzato che non lascia empatizzare con la protagonista

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Una parabola edificante e zuccherosa che reprime la sua anima oscura e ambigua. Queenpins - le regine dei coupon si ispira a fatti realmente accaduti, in particolare a quella che è ritenuta la più grande truffa di coupon nella Storia degli Stati Uniti. Connie (Kristin Bell) è una giovane donna sposata con Rick (Joel McHale), marito sgradevole e spesso lontano per lavoro; disoccupata, cerca di raccapezzare qualche risparmio ricorrendo in modo massiccio a coupon per fare la spesa. Il suo desiderio di mettere su famiglia è stato frenato da un aborto spontaneo per cui la coppia si ritrova ora con molti debiti da pagare. Quando scopre, insieme alla sua amica Johanna "JoJo" Johnson (Kirby Howell-Baptiste) che a Chihuahua, in Messico, risiede la fabbrica dove i coupon sono stampati in quantità industriale, si reca lì per rubarli e ridistribuirli a pagamento. L’inizio di una profittevole attività che desta l’attenzione dell’impacciato e sgarbato Ken Miller (Paul Walter Hauser), che si occupa di prevenire le perdite per alcune compagnie, e l’inflessibile agente dell’Ufficio postale Simon Kilmurry (Vince Vaughn).

La coppia di registi / sceneggiatori Aron Gaudet e Gita Pullapilly  lascia nella cornice l’aderenza alla cronaca per delineare un intreccio da commedia scanzonata, che vira verso toni demenziali-scatologici nelle dinamiche da buddy movie della strana coppia sulle loro tracce e in generale aderisce ad un certo recente modello di Hustle Comedy ("la commedia delle truffe") incentrata su una storia di rivalsa femminile, in cui spesso è in gioco un ribaltamento dei canoni (cinematografici e non) maschili. "Siete un caso di Pink Collar Crime" dice a un certo punto un personaggio, esplicitando l’antitesi col "White Collar Crime", i crimini dei colletti bianchi dell’alta finanza, solitamente associati a uomini. I quali dicono di non giudicarle ma non fanno altro, e non riescono a realizzare come dietro tutta la vicenda si celino due donne, che a loro volta fanno leva sulle loro false aspettative, sui loro pregiudizi di genere e razza per portare avanti gli affari.

Ma le motivazioni che le spingono non sono abbastanza forti come quelle delle spogliarelliste capitanate da Jennifer Lopez in Le Ragazze Di Wall Street – Business Is Business per il dominio del proprio corpo o di quella della protagonista di Una donna promettente segnata da un forte trauma nel proprio passato. In Queenpins manca così quel discorso teorico di rovesciamento del voyeurismo maschile e l’oggettificazione sottintesa del femminile, mantenendo in comune col film con Carey Mulligan il fatto di ridurre tutte le controparti maschili ad esasperate macchiette, sgradevole e odiose, ma non abbastanza grottesche da risultare divertenti, quanto solo vittime di una caratterizzazione con lo stampino.

Il problema però generale di Queenpins sta però soprattutto negli assunti alla base dell'operazione. Dalla prima scena, è la voice over della protagonista ad accompagnarci e a commentare le vicende, segnale di un’adesione al suo punto di vista e di un invito ad a tifare per lei. Ricorrendo alle falle del sistema capitalistico, è convinta di fare la cosa giusta, in risposta alla situazione precaria in cui si ritrova. Sancita dallo sguardo in macchina sorridente con cui si conclude il film, la sua è una parabola della presa di coscienza di una self made woman che trova la propria strada e il proprio spazio autonomo. I dialoghi vorrebbero porre questa in una "zona grigia", connotarla di un ambiguità in cui allo spettatore è lasciato il compito di farsi una propria valutazione; eppure tutto appare esemplare e confortante, pieno di speranza anche verso chi prima era ritratto spietatamente. Solo in certi passaggi sembra affiorare l’idea di un sistema che vince sempre e che anzi, assoggetta e conforma chi pensava di scardinarlo; né a conti fatti viene mai messa in discussione la posizione della protagonista, la bontà delle sue azioni. Ma in questo modo tutto ci sembra forzato e non riusciamo mai ad empatizzare, a entrare in sintonia con lei.

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