Queenpins - le regine dei coupon, la recensione
Queenpins - le regine dei coupon si ispira a fatti realmente accaduti ma è un racconto forzato che non lascia empatizzare con la protagonista
La coppia di registi / sceneggiatori Aron Gaudet e Gita Pullapilly lascia nella cornice l’aderenza alla cronaca per delineare un intreccio da commedia scanzonata, che vira verso toni demenziali-scatologici nelle dinamiche da buddy movie della strana coppia sulle loro tracce e in generale aderisce ad un certo recente modello di Hustle Comedy ("la commedia delle truffe") incentrata su una storia di rivalsa femminile, in cui spesso è in gioco un ribaltamento dei canoni (cinematografici e non) maschili. "Siete un caso di Pink Collar Crime" dice a un certo punto un personaggio, esplicitando l’antitesi col "White Collar Crime", i crimini dei colletti bianchi dell’alta finanza, solitamente associati a uomini. I quali dicono di non giudicarle ma non fanno altro, e non riescono a realizzare come dietro tutta la vicenda si celino due donne, che a loro volta fanno leva sulle loro false aspettative, sui loro pregiudizi di genere e razza per portare avanti gli affari.
Il problema però generale di Queenpins sta però soprattutto negli assunti alla base dell'operazione. Dalla prima scena, è la voice over della protagonista ad accompagnarci e a commentare le vicende, segnale di un’adesione al suo punto di vista e di un invito ad a tifare per lei. Ricorrendo alle falle del sistema capitalistico, è convinta di fare la cosa giusta, in risposta alla situazione precaria in cui si ritrova. Sancita dallo sguardo in macchina sorridente con cui si conclude il film, la sua è una parabola della presa di coscienza di una self made woman che trova la propria strada e il proprio spazio autonomo. I dialoghi vorrebbero porre questa in una "zona grigia", connotarla di un ambiguità in cui allo spettatore è lasciato il compito di farsi una propria valutazione; eppure tutto appare esemplare e confortante, pieno di speranza anche verso chi prima era ritratto spietatamente. Solo in certi passaggi sembra affiorare l’idea di un sistema che vince sempre e che anzi, assoggetta e conforma chi pensava di scardinarlo; né a conti fatti viene mai messa in discussione la posizione della protagonista, la bontà delle sue azioni. Ma in questo modo tutto ci sembra forzato e non riusciamo mai ad empatizzare, a entrare in sintonia con lei.