Quattro metà, la recensione
Un film italiano che prova a fare del romanticismo in maniera onesta, lavorando su scrittura e recitazione ma crollando alla prima difficoltà
Per una volta sembra di poter dire che una commedia italiana che si presenta come di scarso impegno e scarsa ambizione ha fatto un lavoro serio, emancipandosi da tutti quegli “scarso”. Quattro metà non somiglia agli altri film diretti da Alessio Maria Federici, nei quali uno spunto utile ad accattivare si spegne negli esiti più scontati, comuni e ripetitivi, ma una volta tanto quell’idea iniziale ci prova a gonfiarsi e diventare film, a non appoggiarsi sui caratteri e le personalità che solitamente i suoi attori portano con sé ma a cercare i caratteri dei personaggi e a lavorare con gli attori perché li possano interpretare. Insomma Quattro metà davvero non ha troppo interesse ad essere una “commedia italiana” di quelle che fino a qualche anno fa sembravano un investimento a basso reddito ma sicuro ritorno e che non lo sono più.
All’inizio invece, quando sul racconto soffia forte il vento propulsivo della conoscenza tra coppie, delle prime uscite e dello scoprirsi, emerge una tensione sessuale seria e coerente, tenue ma presente, alimentata dall’unicità dei personaggi. Quando la trama in sé è più fiammeggiante Quattro metà la sa sfruttare e lascia emergere la caratteristica che aiuterà il film anche nei momenti meno interessanti, il fatto cioè che, una volta tanto, è un film che cura la recitazione. Matteo Martari ma soprattutto Matilde Gioli oltre a recitare la trama animano personaggi che dallo stereotipo ci partono soltanto per arrivare altrove, che costruiscono e giocano a rimpiattino con le nostre aspettative rispetto sia ai loro caratteri che alla maniera moscia in cui solitamente questi sono gestiti nei film italiani.