La quattordicesima domenica del tempo ordinario, la recensione
I suoi pregi (pochi) La quattordicesima domenica del tempo ordinario li nasconde abilmente sotto una coltre di castronerie tecniche
La recensione di La quattordicesima domenica del tempo ordinario, il nuovo film di Pupi Avati in uscita in sala il 4 maggio
Nella trama ci sono tutti gli elementi del cinema di Pupi Avati: la sconfitta, una ragazza a cui aspirare, la musica vissuta dal basso, una storia di ultimi che si battono in quotidianità ordinarie. In particolare qui c’è un musicista fallito che oggi al massimo può avere un programma in una tv regionale (la cosa più divertente di tutto il film è come Gabriele Lavia inserisca gli sponsor nella sua conduzione del programma) che ritrova la donna della sua vita, anche lei ormai una sconfitta della vita, e provi forse a riallacciare e creare qualcosa finchè sono vivi. Intanto vediamo il suo amico e compagno di band di una volta (che poi ha mollato il gruppo facendolo fallire) che oggi ha fatto carriera nelle banche.
È innegabile che in questa storia malinconica e fatta di tutte rimesse, in cui c’è l’essenza della terza età (il più totale disinteresse per il futuro, anche a breve termine, e una venerazione per il passato), le musiche di Cammariere e Gregoretti funzionino benissimo e anche il tono della recitazione complotti con loro per creare un tono che nonostante l’approssimazione di tutta la messa in scena contiene una mestizia reale, concreta. Il film è un bilancio di una vita intera fatta di eterni ritorni, di speranze che le sconfitte di ieri possano essere mitigate da piccole vittorie di Pirro oggi e di amori che non possono mai funzionare davvero quindi tocca accontentarsi di quel che passa il convento. Che non sono concetti semplici da rendere con le atmosfere e, nonostante il suo continuo inciampare e farsi del male, questo film riesce a far passare. Se non altro.
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