Quasi Nemici, la recensione

La vera impresa che Quasi Nemici nasconde dietro la sempre affascinante struttura di Rocky è di cambiare quello che pensa il pubblico

Critico e giornalista cinematografico


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In Francia esiste una forte tradizione di studio e pratica dell’arte retorica, una che parte dalla maniera in cui si studia al liceo (chiedendo per alcune materie di argomentare, oltre che ripetere, le nozioni) e finisce con i campionati universitari di dibattito. Proprio intorno a questi campionati ruota Quasi Nemici, accoppiato dal titolo italiano al film di Nakache e Toledano ma in realtà in nulla legato ad esso. Questa è una storia sportiva senza sport, una in cui la preparazione in una disciplina unisce gli opposti, cambia le persone attraverso la cultura e l’apprendimento, e riesce a spiegare al pubblico quel che inizialmente gli suona offensivo, provando il proprio punto.

Al centro di tutto c’è un professore di diritto noto e famoso, Daniel Auteuil (il cui carisma è indispensabile al ruolo e davvero ben dosato, senza protagonismi ma con autorità), che nella sua prima lezione maltratta una studentessa di origini orientali arrivata in ritardo e, secondo lui, vestita male. La apostrofa davanti a tutti con nomignoli offensivi, insinua stupidi stereotipi sulla sua provenienza e la sminuisce riducendola a maschera caricaturale. Si guadagna i fischi degli altri studenti e l’odio di lei. Siccome l’università è sempre più in difficoltà per questo suo atteggiamento, viene obbligato a riparare al danno d’immagine creato da un video dell’accaduto finito online offrendosi di allenare la ragazza in questione per i campionati di dibattito di cui è maestro.

La gran corsa alla riparazione degli insulti però non è quella che ci aspettiamo, non è una gigantesca maniera per cambiare il razzismo di un uomo. Il film fa con il pubblico lo stesso lavoro che il professore fa con la ragazza. Lentamente ci fa capire che, per quanto offensivi, i modi in cui lui si rivolgeva a lei erano strategie di dominio nel discorso, erano provocazioni che mostravano più la facilità a scaldarsi e l’incapacità dell’uditorio di reagire con intelligenza ed efficacia a suddette provocazioni, più che la stupidità di chi le pronuncia. Come un insegnante di arti marziali che attacchi i propri studenti per dimostrare loro quanto poco sono in grado di difendersi.

Utilizzando (non benissimo ma se non altro con efficacia) l’eterna struttura di Rocky, il professore allena la studentessa con metodi poco ortodossi ottenendo risultati progressivamente sempre più esaltanti, la segue nei primi “combattimenti” nei quali lei sembra perdere e la porta avanti oltre l’atteso. Parallelamente seguiamo anche le vicende sentimentali di lei, migliorate, cambiate e influenzate dal potere della parola che inizia a padroneggiare. L’allenamento che cambia la persona, la cultura che cambia una vita.

Un finale asciutto e crudo, molto secco e determinato, ambientato qualche anno dopo gli eventi del film, dimostra infine da che parte stesse Quasi Nemici, cosa volesse dimostrare, quanto poco aderisca alla vulgata comune e quanto si possa pure non concordare con esso (il tema centrale alla fine sarà il rapporto tra l’abito e il monaco, i modi e l’essenza) ma gli si deve riconoscere intelligenza, ragionamento e una capacità non comune di distenderlo lungo tutto il film, aspettando anche proprio la fine per chiuderlo, invece che esaurirlo nelle premesse e poi navigare a vista

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