Quasi Natale, la recensione

Un film italiano come se ne attendevano da tempo, Quasi Natale non segue nessuna moda e non vuole somigliare che a se stesso

Critico e giornalista cinematografico


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Tutto quello che conta sembra essere altrove nella storia di Quasi Natale, principalmente una madre, in ospedale, che con il suo star male ha attirato i tre figli nella vecchia casa dove sono cresciuti. Un telecomando, che non si trova. La storia di uno dei tre figli con la sua fidanzata. E poi ancora un freezer a pozzo pieno di polpette. Tutto fuori scena ma determinante per quelli che stanno in scena.
Quasi Natale (uscito da poco On Demand su Sky Primafila) è un questo film ambientato in alcune stanze di una casa (poche e rare le fuoriuscite) che viene da un’opera teatrale ma che è diretto sapendo sempre da che punto va guardata ogni scena e giocando con la disposizione degli attori nell’inquadratura in modo che già le loro posizioni dicano qualcosa, parlino di aspirazioni, paure e sogni.

È davvero sorprendente quest’opera seconda di Francesco Lagi prodotta in economia con lo stesso cast con cui ha lavorato a teatro, perché ha il tono e il passo del miglior cinema europeo, sembra Un padre, una figlia di Mungiu ma senza la meschinità della società, solo con il calore e la difficoltà dei rapporti personali.

È qualcosa che avevamo auspicato, richiesto e atteso così a lungo! Un film italiano capace di scrivere, dirigere, far interpretare ma soprattutto di disegnare una scenografia e immaginare dei costumi che parlino di una realtà diversa da quella standardizzata delle commedie e soprattutto lontana da quella pauperistica del cinema d’autore prodotto in serie. Era a Parenti serpenti di Monicelli che non vedevamo una casa così credibile, che da sola parla di un mondo che non c'è più se non nei ricordi dei personaggi. Un film italiano che prenda i temi che trattiamo da sempre cambiando non tanto l’intreccio, lo spunto o la location che ospitano la vicenda ma proprio lo sguardo, che sia capace di essere tenero e duro con dei personaggi mai pensati per essere amabili, che non hanno niente di naturalistico in come sono proposti e recitati ma proprio tramite la finzione parlano di questioni reali. La forza del falso.

Giocato tra saloni, camere da letto, una soffitta buia e un terrazzo Quasi Natale sa raccontare con ambienti che parlano di un’altra epoca della vita in Italia e personaggi terribilmente credibili, di idee e pulsioni primitive e fondamentali.

Una sorella ha qualche problema con le relazioni che non capiremo mai a fondo e che la spinge verso la violenza, il più responsabile e vicino alla madre dei fratelli invece è un po’ il più sempliciotto ma ci vuole tutto il film per realizzarlo, infine il più riuscito ha un segreto assurdo che culla con la fidanzata che ha portato. Lei, il quarto membro, quella che non sa nulla e nessuno aveva ancora incontrato poi è il dettaglio più clamoroso.

Il personaggio interpretato benissimo da Silvia D’Amico (al tempo stesso coinvolta da eventi che non conosceva e titubante ad entrare davvero in contatto con loro), è una figura che recentemente abbiamo visto solo nei film di Xavier Dolan. È l’osservatore esterno che con il procedere del film diventa sempre più importante e centrale. È Marion Cotillard in È solo la fine del mondo o la vicina di casa di Mommy. Un punto d’appoggio del film totalmente decentrato rispetto ai veri protagonisti che tuttavia attira tutta la nostra attenzione ed è il cuore del film.

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