Purple Hearts, la recensione

Con una trama ingenuamente faziosa Purple Hearts riesce lo stesso a fare del romanticismo dolce e convincente

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Purple Hearts, il film disponibile su Netflix dal 29 luglio

Forse Purple Hearts è un unicum. Un film palesemente di idee repubblicane e conservatrici, molto militarista come spesso Hollywood produce (il personaggio del drogato è scritto e recitato così male che la stessa regia lo inquadra meno che può con effetti stranianti), che ha una donna ispanica e di idee progressiste come protagonista principale. Con pochi mezzi di sostentamento, una madre sola in difficoltà e un diabete che la costringe a dover comprare medicine per la quali non ha un’assicurazione, deciderà di sposarsi per finta con un militare che non tollera ricambiata (“Sei una socialista!” gli dice lui) anche lui alle strette per una brutta storia di strozzinaggio. Così facendo, essendo lui spedito in Iraq, prenderanno un sussidio da dividere in due e avranno l’assicurazione medica che serve a lei per sopravvivere. Nemmeno a dirlo a furia di fare finta di essere sposati per non essere beccati finiranno ad innamorarsi per davvero.

Come si capisce subito nonostante ci sia una donna progressista come protagonista il punto del film è che non appena viene trattata bene e con gentilezza, come si conviene (perché devono fingere davanti a tutti e perché il finto marito è un marine tutto d’un pezzo, uomo d’altri tempi) si scoprirà attratta da quest’uomo. E come se non bastasse a furia di stare vicino ad un militare e vivere alti e bassi della sua vita, smetterà di avercela con l’esercito e con le politiche guerrafondaie. Lui invece no, non cambierà nessuna idea. Le sue vanno bene così.

La sorpresa è che nonostante questa morale per la quale una progressista è solo una donna che non ha ancora incontrato un vero uomo (cioè un militare!), Purple Hearts è un bel film. Solitamente queste sciocchezze di scrittura corrispondono ad uno svolgimento banale e una messa in scena pigra, invece se sì passa sopra agli assunti discutibili, il resto è scritto molto bene! Soprattutto Sofia Carson, la protagonista, recita benissimo la sua parte, non indugia negli stereotipi delle lesbiche nei film più cialtroni ed è in grado di mostrare nello sguardo e nelle reazioni il lento maturare di un sentimento che nemmeno lei sa spiegarsi ma al quale nondimeno desidera tantissimo abbandonarsi. E il lento addolcirsi del personaggio è molto bello e ben reso.

Complimenti a Elizabeth Allen Rosenbaum (la stessa regista di quell’ode al capitalismo delle corporation che era Sneakerentola), che dirige con una mano saldissima una storia in cui ha capito perfettamente cosa conti, che sa puntare benissimo sulla protagonista mettendo più in un angolo i personaggi maschili (questa è la storia di lei e di questo sentimento strano che matura, non di lui) fino a centrare anche un pugno di momenti nei quali è proprio la posizione della macchina da presa a fare tutta la differenza. In Purple Hearts sono infatti gli snodi romantici classici e la capacità di regia e interpretazione di farli valere, caricarli e dargli uno strato importante di autenticità a convincere e coinvolgere anche nella più ideologica e faziosa delle parabole.

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