Pure (prima stagione): la recensione
C'è tutta una galassia di serie tv come Pure, arrivata su RaiPlay: serie brevi, femministe, che trattano della sfera sessuale: recensione
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C'è tutta una galassia di serie tv come Pure, arrivata lo scorso 25 novembre su RaiPlay. L'identikit è semplice: quasi sempre serie inglesi, composte da pochi episodi di breve durata, autobiografiche, femminili o femministe, che elaborano temi legati alla sfera sessuale. Anzi, per come funziona questo trend sul piccolo schermo, è strano che la protagonista – tra l'altro molto brava – della serie, Charly Clive, non sia anche la mente dietro il progetto. Probabilmente Pure non rappresenta l'esempio più splendente di questo apprezzabile filone televisivo, che incredibilmente anche nella sua eccezionalità rischia di apparire troppo "inquadrato" e derivativo, ma è senza dubbio un progetto valido e da recuperare.
Pure, basato sul testo di Rose Cartwright, pone fin da subito al centro il tema dell'identità e dell'appartenenza. In un momento storico nel quale c'è una forte discussione, anche in tv, sul tema delle etichette, delle definizioni, delle rappresentazioni, quel che inizialmente dà fastidio a Marnie è il fatto di non sapere a quale gruppo appartenere. Sessuomane? In realtà la definizione non va bene, dato che il suo è un particolare disturbo ossessivo compulsivo di natura sessuale. Eppure, anche qui già solo il fatto di comprendersi è un modo per accettarsi e migliorarsi, per venire a patti con se stessi. Una volta compreso il proprio disturbo, Marnie può guardarlo con occhi diversi, o almeno provarci senza sentirsi sola al mondo.