Pure (prima stagione): la recensione

C'è tutta una galassia di serie tv come Pure, arrivata su RaiPlay: serie brevi, femministe, che trattano della sfera sessuale: recensione

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Pure (prima stagione): la recensione

C'è tutta una galassia di serie tv come Pure, arrivata lo scorso 25 novembre su RaiPlay. L'identikit è semplice: quasi sempre serie inglesi, composte da pochi episodi di breve durata, autobiografiche, femminili o femministe, che elaborano temi legati alla sfera sessuale. Anzi, per come funziona questo trend sul piccolo schermo, è strano che la protagonista – tra l'altro molto brava – della serie, Charly Clive, non sia anche la mente dietro il progetto. Probabilmente Pure non rappresenta l'esempio più splendente di questo apprezzabile filone televisivo, che incredibilmente anche nella sua eccezionalità rischia di apparire troppo "inquadrato" e derivativo, ma è senza dubbio un progetto valido e da recuperare.

Protagonista è la ventiquattrenne Marnie, interpretata da Charly Clive. Senza una direzione precisa nella vita, finisce per lasciarsi attrarre dall'orbita di Londra, nella speranza che il trasferimento nella capitale possa sbloccare qualcosa per lei. D'altra parte Marnie soffre un problema personale che la condiziona terribilmente nel suo rapporto con gli altri e con se stessa. È ossessionata da fantasie sessuali, che si impongono nei suoi pensieri in ogni momento del giorno. Fuori luogo, inopportune, ansiogene, non le permettono di vivere la vita sociale e sessuale con serenità. Questo è il tema centrale intorno al quale viene declinato tutto l'intreccio, dal lavoro alle amicizie alle nuove conoscenze.

Pure, basato sul testo di Rose Cartwright, pone fin da subito al centro il tema dell'identità e dell'appartenenza. In un momento storico nel quale c'è una forte discussione, anche in tv, sul tema delle etichette, delle definizioni, delle rappresentazioni, quel che inizialmente dà fastidio a Marnie è il fatto di non sapere a quale gruppo appartenere. Sessuomane? In realtà la definizione non va bene, dato che il suo è un particolare disturbo ossessivo compulsivo di natura sessuale. Eppure, anche qui già solo il fatto di comprendersi è un modo per accettarsi e migliorarsi, per venire a patti con se stessi. Una volta compreso il proprio disturbo, Marnie può guardarlo con occhi diversi, o almeno provarci senza sentirsi sola al mondo.

Lontano da Fleabag, che rimane un po' il punto di riferimento di questo tipo di serie, Pure è più vicino come esiti a Feel Good, mentre si mantiene lontano dagli exploit creativi e coraggiosi di I May Destroy You. Paga, come si diceva, il fatto di essere facilmente inquadrabile senza avere una voce particolarmente forte, o di non curarsi particolarmente dei personaggi secondari che pure racconta. Funziona meglio nell'idea di voce narrante (ripresa da Fleabag), nelle fantasie a occhi aperti suggerite tramite rapidi flash, nell'interpretazione di Charly Clive.

Continua a leggere su BadTaste