Pupazzi Senza Gloria, la recensione
Ricalcato sul modello del noir losangelino Pupazzi Senza Gloria si presenta come una versione sboccata di Chi Ha Incastrato Roger Rabbit?!
Siamo a Los Angeles e accanto agli umani vivono i pupazzi, solo che tra i due non corre buon sangue, c’è diffidenza dai primi verso i secondi. Quando una serie di morti che hanno a che fare con l’industria dello spettacolo attira l’attenzione della polizia una donna pupazzo si rivolge ad un investigatore privato per fare chiarezza.
I pupazzi qui sono un po’ tutti Baby Herman, sembrano carini e soffici da fuori ma in realtà sono sboccati e non pensano altro che al sesso. Quel contrasto è il meccanismo comico. Ci sono i quartieri malfamati dei pupazzi, c’è la droga dei pupazzi (lo zucchero), le prostitute dei pupazzi e via dicendo. Phil, il protagonista, era il primo agente di polizia pupazzo, almeno prima che un incidente non lo costringesse ad abbandonare il distintivo e chiudere i ponti con la sua partner che ora, in questa indagine, è costretta di nuovo a fare coppia con lui.
In questa fiera del già visto l’umorismo dovrebbe essere la carta vincente ma davvero troppo poco si sente un marchio personale. Se si eccettuano le incursioni di Melissa McCarthy e della sua ironia, il tocco degli autori di I Muppet è assente. È come se rinunciando a quella patina di finta innocenza dei pupazzi più famosi creati da Jim Henson (finta perché in realtà sono più sagaci e coscienti di quel che lasciano intendere), anche la scrittura ne risentisse. Di certo non ha aiutato prendere alla sceneggiatura due scrittori che hanno più esperienza di tv che di cinema per un progetto così intimamente cinematografico e non avere invece nessuno degli autori dei Muppet (ancora in grado di confezionare film esilaranti con Kermit, come I Muppet del 2011). Che alla fine le parti migliori siano quelle con gli umani suona quindi un po' come una sconfitta.