Pupazzi alla Riscossa, la recensione | Roma 2019
Copiando, rimescolando, rimestando e concedendosi una serie di canzoni fallate come loro i Pupazzi alla Riscossa annoiano più che avvincere
PUPAZZI ALLA RISCOSSA, LA RECENSIONE DEL FILM DI KELLY ASBURY
Nell’eterno correggere il finale di Il Brutto Anatroccolo per fare nuove storie che caratterizza la narrazione per l’infanzia contemporanea, in Pupazzi alla Riscossa i protagonisti sono dei pupazzi fallati, una variazione molto più pavida dei brutti di Nightmare Before Christmas (perché non sono così brutti e il loro mondo di scarti non è così “di scarti”).
Sono pupazzi che vivono un’esistenza devota a un padrone che devono ancora incontrare, la loro missione è servire un bambino che li ami, cosa impossibile per i fallati che non usciranno mai dalla fabbrica (che comprende la loro suddetta isola, ma come detto è complicato). Si collocano quindi solo un gradino più vicino ai cuccioli del canile rispetto ai giocattoli di Toy Story nella scala del pietismo (non hanno quel coraggio e quell’intraprendenza di andare a conquistarsi il proprio destino). Del resto tra i bambini che vediamo inizialmente come esempio di amore verso i pupazzi distinguiamo anche Boo, la bambina di Monsters & Co., solo un po’ più cresciuta. È questo un film Disney? No, è una co-produzione tra Canada, Stati Uniti e parecchia Cina (più che altro dalla parte dei soldi e poca nella parte realizzativo/creativa) che ha poche idee e arrivata alla fine rubacchierà anche il finale da Toy Story, a quel punto però sarebbe davvero ingenuo stupirsene.
È la vecchia storia dei brutti di buon cuore, i bastardi che sono più furbi e teneri dei cani di razza, i difettati che sono molto più vitali dei prodotti perfetti di una società ricca (i pupazzi senza difetti indossano una specie di divisa da scuola privata che li colloca a livelli altissimi della gerarchia della moda). L’equazione pupazzi con difetti/poveri non è proprio il massimo ma è pur vero che attribuire al film intenzioni di commento sociale vorrebbe dire sovrastimarlo.
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