Punisher vol. 1: War Machine, la recensione

Abbiamo recensito per voi il primo volume della serie Legacy di Punisher, opera di Rosenberg e Guiu

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Punisher #218, anteprima 01

Nelle ultime settimane si è molto dibattuto sulle dichiarazioni di Zack Snyder e sulla presunta "perdita dell’innocenza" di Batman nella pellicola Batman v Superman: Dawn of Justice. C’è un personaggio del pantheon del Fumetto supereroistico che non si è mai fatto troppi scrupoli a uccidere, perpetuando la sua missione di eliminare a ogni costo i criminali: Punisher. La storia personale di Frank Castle è nota a tutti, così come le motivazioni che hanno modificato radicalmente il modus operandi del veterano di guerra padre di famiglia che era un tempo.

Riallacciandosi al finale di Civil War II, Matthew Rosenberg dà il via alla sua run sulle pagine della serie del Punitore targata Legacy. Per il suo primo arco narrativo, lo sceneggiatore di Uncanny X-Men opta per stravolgere lo status quo del protagonista mettendogli tra le mani un vero e proprio arsenale volante: l’armatura di War Machine. La folle trovata porta la firma di Nick Fury Jr., il quale invia Frank a risolvere un sanguinoso tumulto politico in Chernaya; non prima, però, di avergli indicato la base in cui è custodita l’armatura del defunto Jim Rhodes.

Alzi la mano chi è convinto che, al termine della missione, il Puni restituirà la corazza come da accordi. Appunto, nessuno.

Una volta entrato in possesso della macchina da guerra targata Stark, il protagonista risulta fuori controllo, trasformato di fatto in una minaccia ancor meno gestibile del solito: così pericoloso da arrivare a far esplodere un caso diplomatico internazionale, con la possibilità di innescare una guerra nucleare.

Punisher #218, anteprima 02

I lettori tradizionalisti possono stare tranquilli: nonostante l’armatura e il contesto globale in cui è calato lo storyarc, il Punisher risulta perfettamente riconoscibile e fedele a se stesso. Inutile ogni parallelismo con il povero Rhodes: quello che troviamo sotto il casco è il badass che amiamo da sempre. In fondo, come dichiara lui stesso, "l’attrezzatura non importa. La sola cosa che conta è la volontà di fare quel che l’altro non vuol fare", e Frank vuole difendere chi non ha la possibilità o i mezzi per farlo. Alla sua maniera, ovviamente.

Forte di uno spunto indovinato – mettere nelle mani di un folle un enorme potere – Rosenberg si diverte a condurre la narrazione in un crescendo di azione e una buona dose di umorismo (divertenti i siparietti tra Frank e la I.A. dell’armatura), con battute a effetto che vivacizzano la lettura.

Purtroppo, però, sulla lunga distanza gli elementi positivi non riescono a sostenere il peso dell'idea iniziale: per quanto dotata di un buon ritmo, la storia di Rosenberg non riesce a svincolarsi da soluzioni già viste, cosa che porta il lettore ad anticiparne gli sviluppi. In tal senso, il tentativo di umanizzare il Punisher legandolo alle vittime fallisce. A questo aggiungiamo la mancanza di un vero antagonista e la prova non incisiva di Guiu Vilanova al tavolo da disegno, con la componente action che ne esce addirittura svilita.

Insomma, il Punisher versione War Machine intriga ma finisce per non convincere del tutto, una volta chiuso il volume. Aspettiamo dunque il prossimo capitolo per scoprire se Rosenberg sarà in grado di risollevare le sorti di questa serie partita con delle premesse interessanti.

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