Providence vol. 1, la recensione

Abbiamo recensito per voi il primo volume di Providence, opera di Alan Moore e Jacen Burrows che scava nella narrativa horror di H.P. Lovecraft

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Recensire il primo volume di un'opera talmente complessa e stratificata quale è Providence di Alan Moore e Jacen Burrows è sicuramente compito arduo. Sono talmente tanti gli elementi di riflessione e discussione che è probabilmente impossibile riuscirli a trattare tutti, e in maniera esaustiva, in un unico pezzo. Probabilmente sarebbe più consono farlo in un trattato o saggio, ma noi ci proveremo lo stesso.

In Providence, il Bardo di Northampton ritorna a raccontarci alla sua maniera della narrativa horror di H.P. Lovecraft, scrittore americano vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la cui produzione letteraria ha definito questo genere narrativo in modo indiscutibile, che la si apprezzi, o meno. Del resto, lo stesso titolo dell'opera rimanda alla cittadina dove lo scrittore è nato (e morto). Questo percorso di Moore nell'immaginario lovecraftiano è iniziato alcuni anni fa con la scrittura (in prosa) del racconto breve intitolato Il cortile, poi adattato a fumetto, e con la realizzazione della miniserie Neonomicon (trovate QUI la nostra recensione). Lo scrittore inglese decide di continuare ad addentrarsi in questo mondo oscuro e grottesco scegliendo di tornare alle origini, ossia a quel contesto storico e sociale nel quale lo stesso Lovecraft è vissuto e ha scritto le sue opere: di fatto, quindi, Providence è un prequel di Neonomicon, sebbene sia stato realizzato cronologicamente a posteriori. La premessa di base, comunque, è speculare nelle due opere e parte dalla presupposto che il romanziere non abbia inventato nulla, ma gli eventi che ha narrato nei suoi romanzi e racconti brevi non siano altro che una cronaca parafrasata di eventi dei quali è stato realmente testimone. Le due opere, inoltre, sono strettamente connesse: molti elementi appena accennati ne Il cortile e Neonomicon, come i tanti segreti di Salem, il testo maledetto intitolato Kitab Al-Hikmah Al-Najmiyya, il signor Suydam e i suoi loschi traffici che si svolgevano nel distretto di Red Hook vengono riportati in scena e approfonditi, dando vita a quello che è, a tutti gli effetti, un universo narrativo unico ed espanso.

Protagonista della storia di Providence è Robert Black, giovane e ambizioso giornalista del New York Herald, che sogna di divenire uno scrittore di successo. Casualmente (ma nelle storie di Moore c'è mai qualcosa di davvero casuale?), si imbatte in quelle che sembrano essere nient'altro che leggende metropolitane, ruotanti attorno alla presenza di un libro che porta alla pazzia e alla morte chiunque lo legga. Black deciderà dunque di indagare a fondo su questa vicenda, dando inizio a un viaggio nell'America rurale del primo dopoguerra, un mondo misterioso che nasconde tantissimi segreti, alcuni dei quali, forse, sarebbe stato meglio rimanessero tali. Il protagonista di Providence è un uomo, se vogliamo, controverso, almeno per l'epoca nella quale si muove: difatti, Black è ebreo e omosessuale, in una società nella quale l'impeto moralistico e perbenista diventava sempre più imperante. Proprio in quest'epoca, infatti, prendeva il via il Proibizionismo accompagnato a braccetto dai primi, veri movimenti sindacali. Lo scenario che ci viene realisticamente presentato è quello di una nazione soffocata dal razzismo e dalla repressione sessuale, aspetti che poi saranno ingrediente principale della nascita dei movimenti estremisti e reazionari che hanno caratterizzato buona parte del Novecento. In questo senso, Moore è eccezionale nel saper porre il suo racconto di fantasia in un contesto storico preciso e ben caratterizzato, con continui e sapienti riferimenti alla realtà dell'epoca (si veda la sequenza nella quale Black e un abitante di Salem trovano dipinta a terra una svastica, per averne un chiaro esempio).

A questa parte realistica dell'affresco narrativo di Providence fa da splendida controparte la mitologia lovecraftiana, fatta di mondi nascosti, segreti taciuti, mostri (marini), magia, esoterismo, incesto e tanto, tanto altro. È davvero magnifico il modo in cui Moore riesce a plasmare questo universo narrativo, con grande consapevolezza della "massa" di partenza, ma anche con sagace inventiva e capacità di rendere il tutto così coerente e affascinante. La grande produzione di Lovecraft ci ha infatti presentato tante di quelle folli stranezze, spesso raccontateci in maniera cruda e spigolosa, che per Moore deve essere stato come recarsi nel Paese dei Balocchi e farsi un giro sulle sue giostre preferite. Spinta propulsiva della narrazione sono la sessualità e l'erotismo, significativi elementi nascosti (e male) della narrativa lovecraftiana: difatti è proprio la pulsione sessuale, carburante primordiale dietro le azioni umane, a dare vita a tutte le orrifiche situazioni delle quali Robert Black si troverà, volente o nolente, protagonist; di fatto, questo personaggio non è altri che il metaforico corrispettivo dello stesso Lovecraft, che scoprirà realtà spaventose e grottesche che poi riporterà nella sua produzione letteraria.

Providence è, francamente, un'opera maestosa, sebbene non sempre di facile accessibilità. Nonostante i testi di Moore siano anche più snelli e fluidi di tante altre sue opere, questo racconto è talmente denso e potente da richiedere grande attenzione (e passione) al lettore, sebbene non diventi mai noioso, e non perda minimamente incisività e originalità in nessuna delle sue pagine. La potenza dirompente di Providence scava violentemente nella mente del lettore, arrivando a toccare la parte più primordiale di questa, il suo "cervello rettiliano": il risultato è quello di riuscire a dar vita a un mondo fantastico che però sembra tangibile, toccabile con mano, quasi come se le vicende che leggiamo nel fumetto si siano in realtà svolte davvero, e questo sia semplicemente una sorta di documentario. Del resto, chi di voi può asserire con assoluta certezza che gli eventi non siano andati davvero così come ci vengono narrate in Providence? A contribuire in maniera significativa e affascinante alla creazione di questo universo narrativo, ci pensano i tanti inserti in prosa che Moore ha introdotto nella sua opera, e che si trovano come postilla di ogni capitolo: da passaggi dello "zibaldone di pensieri" di Black, a stralci di saggi e opuscoli, tutto questo contribuisce a creare uno spaventoso effetto di realismo che impregna il lettore da capo a piedi.

Dal punto di vista grafico, vale quanto abbiamo già asserito per Neonomicon: Burrows, con il suo tratto elegante, incisivo e realista, è l'artista più adatto a dar vita alle pagine di sottile e crescente orrore di Providence. Il suo storytelling classico, fluido e raffinato permette una chiara comprensione di un'opera importante in termini di "peso narrativo".

In conclusione, lasciamo al lettore il compito di trovare le tantissime citazioni presenti nel primo volume di Providence, che rimandano sì a Lovecraft, ma anche a tanta altra meravigliosa narrativa, affermando con ragionevole certezza che in questo caso di troviamo di fronte a un'opera sarà facilmente ricordata negli annali come qualcosa di rivoluzionario, seminale e archetipico, come tante altre opere di Moore, del resto, Watchmen su tutte.

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