Prison School 28, la recensione

Abbiamo recensito per voi il ventottesimo e ultimo volume di Prison School, opera di Akira Hiramoto

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Con il numero 28, giunto in edicola e in fumetteria lo scorso 20 febbraio, si è concluso Prison School, uno dei manga di maggior successo degli ultimi anni, dal quale sono stati tratti uno spin-off, un anime e un serial live action. L'opera firmata da Akira Hiramoto aveva fatto il suo esordio nel 2011 sulle pagine della rivista nipponica Young Magazine, proposta dalla casa editrice Kodansha, mentre Star Comics ha iniziato a pubblicarla in Italia nel giugno 2013.

Da allora, ogni due mesi abbiamo seguito le vicende di Kiyoshi, Gakuto, Shingo, Joe e Andre, i primi studenti maschi accettati dal prestigioso istituto scolastico Hachimitsu, precedentemente frequentato soltanto da ragazze. In ventotto volumetti, Hiramoto ha totalmente soggiogato la nostra attenzione sviluppando storyarc sempre più imprevedibili e giocando con continui ribaltamenti di ruoli; in tal senso, questo finale non è da meno, dato che va a minare diverse certezze del lettore.

Il tratto distintivo di questa serie - l'originalità del soggetto e degli intrecci - non ha tradito il lettore fino all'ultima tavola, brillante come tutte le altre che compongono l'opera. Ridurre Prison School a un semplice ecchi sarebbe sciocco e irriverente; non a caso, nel 2013 si è aggiudicata un Kodansha Award come Miglior manga. L'elemento erotico è certamente in risalto nell'economia complessiva del racconto, ma non è mai volgare né sfocia nella pornografia. Ci sono situazioni estreme, ma sempre legate all'irrefrenabile libido dei cinque ragazzi, i quali mostrano tutta l'esuberanza e la sconsideratezza tipiche di quell'età. Con grande maestria, Hiramoto rappresenta l'adolescenza con una mix ben dosato di ironia e drammaticità, esaltandone gli aspetti più caratteristici e utilizzando gli strumenti del paradosso, della metafora, della parodia e dell'equivoco per ottenere situazioni clamorose e talvolta scioccanti.

Il sesso sembra avere due facce in questo seinen: irrimediabilmente osceno e triviale quando viene interpretato dalla parte maschile, diventa intrigante e maturo nella coniugazione al femminile. Se le donne non sono le protagoniste di Prison School, sono indiscutibilmente i suoi personaggi trionfanti, apparendo non solo molto più intelligenti dei loro coetanei ma anche più caparbie e adulte. Questa contrapposizione si rispecchia nello spessore caratteriale di ognuna di loro, sia tra le componenti dell'Associazione Studentesca Segreta che in quelle della rivale Associazione Studentesca Ordinaria. Kiyoshi e gli altri, compreso il preside dell'Hachimitsu, sono relegati al ruolo di macchiette tragicomiche, mentre sono le loro controparti rosa a emergere, superbe e spietate nella loro avvenenza.

Il fumetto di Hiramoto è dunque consigliato a un pubblico variegato, da leggere per la straordinaria creatività e la varietà narrativa che propone, unite a un segno stilistico raffinato, caratterizzato da una tecnica e una qualità grafica sopraffine. Raramente capita di poter godere di un character design così curato, eclettico ed efficace per ognuno dei personaggi, che siano principali o secondari.

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