Prison School 28, la recensione
Abbiamo recensito per voi il ventottesimo e ultimo volume di Prison School, opera di Akira Hiramoto
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
Da allora, ogni due mesi abbiamo seguito le vicende di Kiyoshi, Gakuto, Shingo, Joe e Andre, i primi studenti maschi accettati dal prestigioso istituto scolastico Hachimitsu, precedentemente frequentato soltanto da ragazze. In ventotto volumetti, Hiramoto ha totalmente soggiogato la nostra attenzione sviluppando storyarc sempre più imprevedibili e giocando con continui ribaltamenti di ruoli; in tal senso, questo finale non è da meno, dato che va a minare diverse certezze del lettore.
Il sesso sembra avere due facce in questo seinen: irrimediabilmente osceno e triviale quando viene interpretato dalla parte maschile, diventa intrigante e maturo nella coniugazione al femminile. Se le donne non sono le protagoniste di Prison School, sono indiscutibilmente i suoi personaggi trionfanti, apparendo non solo molto più intelligenti dei loro coetanei ma anche più caparbie e adulte. Questa contrapposizione si rispecchia nello spessore caratteriale di ognuna di loro, sia tra le componenti dell'Associazione Studentesca Segreta che in quelle della rivale Associazione Studentesca Ordinaria. Kiyoshi e gli altri, compreso il preside dell'Hachimitsu, sono relegati al ruolo di macchiette tragicomiche, mentre sono le loro controparti rosa a emergere, superbe e spietate nella loro avvenenza.