Princess, la recensione

Al secondo film Roberto De Paolis si conferma un autore eccezionale capace di raccontare il nascere dei sentimenti con minuzia incredibile

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Princess, opera seconda di Roberto De Paolis presentata in apertura della sezione Orizzonti al Festival di Venezia

Questi sono cuori anche più puri di quelli dell’altra volta, di quelli di quei due ragazzi che Roberto De Paolis aveva raccontato nel suo primo film (Cuori puri per l’appunto) nel 2017. Quelli di Princess, prostituta nigeriana molto giovane, molto arrembante che esercita sulla via del mare che collega Roma ad Ostia, e di uno dei molti clienti che vediamo avere un rapporto con lei, sono cuori davvero purissimi ma ci vorrà del tempo per capirlo. Questa scoperta è esattamente lo spettacolo che offre Princess, la cronaca minuziosa di come crolli un’armatura eretta per difendersi dai sentimenti. Un crollo a cui assistiamo crepa dopo crepa, pezzo caduto dopo pezzo caduto, con una tale delicatezza nello scoprire un cuore tenero che dentro di essa è impossibile non riconoscere anche la propria intimità. E quindi commuoversi.

Ci vorranno però diverse giornate perché Princess tra clienti che la truffano e clienti che truffa lei, tra amiche che si fanno le treccine a vicenda, scherzi terribili, clienti ricchissimi, altri umili e un continuo incontrare in quel bosco accanto alla strada un uomo che con lei non vuole fare niente, si lasci convincere a fare un giro con lui, uno non finalizzato a “lavorare”. La grande idea di sceneggiatura è che anche noi ci mettiamo un po’ a capire che quel cliente è diverso dagli altri e che la loro interazione nasconde qualcosa di più. Ci vuole tanto ma Princess ha una capacità così alta di scrivere e poi mettere in scena dialoghi e interazioni che lo si guarderebbe all’infinito anche se la trama vera e propria non arrivasse mai.

Al secondo film Roberto De Paolis smette di essere “una promessa” ma sì conferma. Per la seconda volta riesca a trovare negli interpreti una naturalezza eccezionale senza che emergano distinzioni tra chi non ha formazione e chi invece (come Lino Musella) è un professionista. Glory Kevin (la protagonista) è capace di convogliare nel medesimo atteggiamento chiacchierone e arrogante sia una eccezionale tensione verso il denaro, portata dalle parole (da fiumi di parole in un inglese nigeriano che è la lingua ufficiale del film), dal loro ritmo e da una energia che la videocamera sembra bere come da una fonte, sia anche un desiderio di mangiarsi la vita, di avere e ottenere e di diventare, trasformarsi ed essere altro. E ci riesce grazie al cielo senza seguire la trita convenzione che vuole le prostitute sempre in cerca di una via di uscita per cambiare vita, ma dipingendole come persone che si concepiscono dentro ad un percorso, che vedono il loro lavoro come una fase per giungere ad altro, come piccole imprenditrici con grandi sogni.

Dentro questa grandissima energia di Glory Kevin si muovono tutti. Si muove Lino Musella, così intelligente da riuscire ad essere sempre il rovescio di quella medaglia, il suo opposto e farci così capire sottilmente che queste due persone possono completarsi, e si muove anche Roberto De Paolis, che gestisce tempi e sguardo in modo che ogni volta quell’energia possa suggerire un bisogno di affetto frustrato da una vita difficile oppure scaltrezza o ancora verso il finale un timore della felicità, quasi un’esitazione ad accettarla che commuove.

Peccato solo che un finale troppo ansioso di chiudere un cerchio sfrutti eccessivamente la cornice e metafora della favola, aggiungendo un livello di interpretazione tra il fantastico e il metaforico di cui forse il film non aveva bisogno ma che comunque non intacca la bellezza di Princess.

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