Primo Levi, la recensione

Abbiamo recensito per voi Primo Levi, opera di Matteo Mastragostino e Alessandro Ranghiasci

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Primo Levi di fronte a una classe di bambini, impegnato a raccontare tutti i dolori e tutti gli orrori dell'Olocausto. È questa la situazione fondamentale da cui parte il volume di BeccoGiallo che racconta il personaggio del grande scrittore italiano ed ebreo, fra i massimi cantori e responsabili della nostra memoria della più grande tragedia della Seconda Guerra Mondiale. La sceneggiatura di Matteo Mastragostino è tutta giocata tra il Levi anziano, che rivive i traumi del passato in maniera da imprimerli nella memoria delle nuove generazioni, e quello ancora giovane a cui è stata strappata la libertà, privato dell'umanità stessa e vessato in maniera indelebile e indimenticabile.

In questa storia raccontata con grande rispetto e sincero affetto, Primo Levi è soprattutto un uomo, che fa i conti con le conseguenze di ciò che ha vissuto in maniera non semplice e cerca di accettare i cambiamenti che gli sono stati imposti dai crimini della storia, di cui è stato vittima illustre. Confezionato a seguito di un grande lavoro di documentazione, questo fumetto ha ben poco di letterario, non si concentra sul mestiere di scrittore di Primo Levi, ma cerca di condensare la sua visione della prigionia nei lager attraverso gli occhi di un signore anziano che ha ancora la forza per raccontare, ma che deve trovare ogni giorno il coraggio per accettare se stesso e ciò che è diventato.

C'è tanta emotività che non si nasconde, che ha voglia di far mostra di sé in questo volume che affronta il rischio di cadere nel banale evitandolo con leggerezza e schivandolo con onestà. Il tentativo non è solo quello di raccontare i fatti ma di immergersi nella psicologia di una persona, di un intellettuale dotato di grande umanità, che a quei fatti è sopravvissuto e ne è rimasto segnato per sempre. La forza e allo stesso tempo il punto debole potenziale della storia di Mastragostino e Alessandro Ranghiasci stanno proprio qui: nella voglia di tracciare un ritratto di Primo Levi, e di utilizzare questo personaggio, tanto reale quanto di fiction, con una lente sovrapposta al nostro sguardo.

A lasciare a tratti perplessi, soprattutto all'inizio della lettura, è lo stile di disegno di Ranghiasci. Il tratto a pennino è certamente una buona scelta, utile a creare un effetto di precarietà costante e di incertezza, con i suoi bianchi vuoti in mezzo ai neri pieni che lasciano un'impressione di realtà minacciata e instabile, messa in crisi dall'assurdo degli eventi. Tuttavia c'è una chiara derivazione manga nello stile del disegnatore, che in prima battuta si potrebbe trovare poco adatta alla storia che viene raccontata. In realtà trova piena giustificazione, a nostro avviso, in una considerazione che scatta verso il finale della storia. Così come Primo Levi si confronta con una classe di bambini, gli autori vogliono portare ad un pubblico più ampio possibile l'esperienza dello scrittore mediata dalla loro sensibilità. Ed ecco che lo stile spurio del disegno diventa un canale in più di accesso per i più giovani, certamente riconoscibile alle nuove generazioni di lettori.

Il risultato è una lettura piuttosto veloce che colpisce nel segno in diversi momenti e che certamente fa onore all'intento di raccontare un personaggio fondamentale del dopoguerra italiano e di dar conto di uno dei più grandi crimini della storia. Mancano tuttavia momenti che spicchino per intensità narrativa, rimanendo impressi e rendendo indelebile l'esperienza di lettura di Primo Levi. Una scelta estetica espressionista più radicale avrebbe reso più potenti le immagini di questo fumetto che rimane di pregevole fattura ed è un'occasione interessante di ricordare la Shoah ed entrare in contatto con l'umanità ferita che Levi ha raccontato e si è portato appresso per tutta la vita.

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