Primo Levi, la recensione
Abbiamo recensito per voi Primo Levi, opera di Matteo Mastragostino e Alessandro Ranghiasci
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
In questa storia raccontata con grande rispetto e sincero affetto, Primo Levi è soprattutto un uomo, che fa i conti con le conseguenze di ciò che ha vissuto in maniera non semplice e cerca di accettare i cambiamenti che gli sono stati imposti dai crimini della storia, di cui è stato vittima illustre. Confezionato a seguito di un grande lavoro di documentazione, questo fumetto ha ben poco di letterario, non si concentra sul mestiere di scrittore di Primo Levi, ma cerca di condensare la sua visione della prigionia nei lager attraverso gli occhi di un signore anziano che ha ancora la forza per raccontare, ma che deve trovare ogni giorno il coraggio per accettare se stesso e ciò che è diventato.
A lasciare a tratti perplessi, soprattutto all'inizio della lettura, è lo stile di disegno di Ranghiasci. Il tratto a pennino è certamente una buona scelta, utile a creare un effetto di precarietà costante e di incertezza, con i suoi bianchi vuoti in mezzo ai neri pieni che lasciano un'impressione di realtà minacciata e instabile, messa in crisi dall'assurdo degli eventi. Tuttavia c'è una chiara derivazione manga nello stile del disegnatore, che in prima battuta si potrebbe trovare poco adatta alla storia che viene raccontata. In realtà trova piena giustificazione, a nostro avviso, in una considerazione che scatta verso il finale della storia. Così come Primo Levi si confronta con una classe di bambini, gli autori vogliono portare ad un pubblico più ampio possibile l'esperienza dello scrittore mediata dalla loro sensibilità. Ed ecco che lo stile spurio del disegno diventa un canale in più di accesso per i più giovani, certamente riconoscibile alle nuove generazioni di lettori.