Il primo giorno della mia vita, la recensione

La recensione di Il primo giorno della mia vita, il nuovo film di Paolo Genovese con Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco e Toni Servillo

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il primo giorno della mia vita, in sala dal 26 gennaio

C’è ancora una volta un luogo che accoglie dentro di sé diverse storie, c’è ancora qualcuno che è un emissario di una volontà superiore metafisica e che a modo suo cerca di aiutare queste persone con espedienti fantastici che pongono questioni morali ed etiche. Il primo giorno della mia vita replica lo schema di The Place: lì era Valerio Mastandrea a ricevere la visita di alcune persone all’interno di una tavola calda, qui è Toni Servillo che recupera aspiranti suicidi (tra cui Valerio Mastandrea!) e li tiene in un hotel fatiscente. In entrambi i casi aleggiano l’al di là e una serie di regole e ordini dall’alto senza bisogno di specificare niente, senza sconfinare nell’apertamente religioso o anche solo nello spirituale ma mettendo i personaggi a confronto con la possibilità di cambiare la propria vita.

Stavolta il tono però è molto meno narrativo e molto più meditabondo, questo è un film di sentenze e come tale pesa come un macigno. Difficile da seguire, denso di considerazioni ponderose che ponderose davvero poi non lo sono, e soprattutto privo di un intreccio realmente appassionante, Il primo giorno della mia vita somiglia più a un film da psicanalisti, fatto com’è di personaggi che provano a superare traumi o blocchi e di un altro che li aiuta in questo processo, seguendoli con discrezione e garbo, dando ogni tanto degli stimoli per indirizzarli.

Ed è strano che un film dalla fattura così meticolosa e dalla confezione così sofisticata poi non funzioni molto. Nemmeno gli attori coinvolti sembrano a loro agio nel relazionarsi tra loro. Il tono scelto è sempre un po’ ieratico e distante, c’è un’aria sospesa che va mantenuta e ognuno recita fuori da sé, ma anche quando ci sarebbe da dibattere, discutere e mostrare un po’ di forza morale o incertezza umana arrancano, pure Sara Serraiocco, Margherita Buy e Valerio Mastandrea, e l’impressione è che ognuno abbia girato le proprie parti separatamente. Sicuramente non è andata così, semmai è il frutto di una serie di scelte, tuttavia queste alla fine non pagano.

Nemmeno l’idea di andare a parare in certi momenti sui punti di forza eterni di storie come Il canto di Natale o La vita è meravigliosa sembra portare grandi benefici o se non altro un po’ di fascino. E una scena che promette molto come quella nel cinema (anch’esso fatiscente) in cui vengono proiettati momenti di vite da venire, possibilità da scoprire e un futuro da conquistare, non riesce ad avere la suggestione che si spera, lasciando spazio al disinteresse per tutta l’operazione.

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