La prima regola, la recensione

Un film di classe che supera i confini di realismo del suo genere e mira a raccontare tramite l'astrazione tutti i contrasti del presente

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di La prima regola, il film in uscita in sala il 1° dicembre

Non c’è bisogno di leggerlo per scoprire che dietro a La prima regola c’è uno spettacolo teatrale. Il linguaggio del teatro è ovunque nel film nonostante Massimiliano D’Epiro faccia di tutto per sfruttare le possibilità del cinema, dissimulare e trovare una via autonoma. Tuttavia troppo la scrittura dei dialoghi tradisce l’impostazione teatrale, e di conseguenza troppo la recitazione sopra le righe la richiama con forza, creando fin da subito un mood teatrale enfatico e ben poco filmico, anche dato il genere. La prima regola sarebbe un film “di classe”, quel tipo di storie che si fondano sulle discussioni all’interno di una classe, ma rifiuta l’assunto principale di quel tipo di cinema, cioè il realismo delle interazioni, preferendogli l’astrazione, senza avere la forza di ribaltare tutto e imporre le proprie (nuove) regole.

Non appena può La prima regola stilizza e musica, utilizza sovrimpressioni, ruba soluzioni alla videoarte, lascia i personaggi soli nell’edificio a ballare per farli esprimere e applica luci colorate espressive, anche con un buon gusto. È un film di performance senza dubbio, in cui anche i dialoghi sembrano parte di un’installazione, in cui anche il risuonare del sonoro negli ambienti ampi sembra studiato (e probabilmente lo è). L’obiettivo di questa osservazione di una classe di recupero per soggetti turbolenti in una periferia generica d’Italia, è infatti l’astrazione, partire da una situazione concreta ma richiamare valori e idee più grandi per affrontare i principali contrasti che animano la società contemporanea. Proprio tutti i principali contrasti.

Ci sono snodi della trama e discussioni che affrontano le relazioni omosessuali, la body positivity, il razzismo, la convivenza di culture diverse nelle medesime città, le tensioni sociali, il rapporto con le forze dell’ordine e ad un certo punto anche la guerra. Davvero dà fondo a tutti i contrasti contemporanei in una rappresentazione molto sofisticata ma così densa da non approfondire mai davvero nulla, soprattutto i caratteri. I ragazzi infatti sono dei mezzi per veicolare delle idee più che dei veri personaggi complessi e il docente allo stesso modo non ha vere motivazioni o desideri ma è lì per contrastarli. Sono device espressivi.

Quindi quando alla fine La prima regola chiude esprimendo la sua tesi umanista (cioè il superamento del conflitto tramite il contatto umano e il rapporto uno ad uno, nell’indifferenza delle istituzioni), si ha l’impressione che a trovare finalmente un contatto non siano due solitudini, due fenotipi umani diversi o due persone che superano un conflitto per vincere i propri demoni, ma due istanze narrative, due elementi di una formula che vengono uniti a tavolino.

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