La prima regola, la recensione
Un film di classe che supera i confini di realismo del suo genere e mira a raccontare tramite l'astrazione tutti i contrasti del presente
La recensione di La prima regola, il film in uscita in sala il 1° dicembre
Non appena può La prima regola stilizza e musica, utilizza sovrimpressioni, ruba soluzioni alla videoarte, lascia i personaggi soli nell’edificio a ballare per farli esprimere e applica luci colorate espressive, anche con un buon gusto. È un film di performance senza dubbio, in cui anche i dialoghi sembrano parte di un’installazione, in cui anche il risuonare del sonoro negli ambienti ampi sembra studiato (e probabilmente lo è). L’obiettivo di questa osservazione di una classe di recupero per soggetti turbolenti in una periferia generica d’Italia, è infatti l’astrazione, partire da una situazione concreta ma richiamare valori e idee più grandi per affrontare i principali contrasti che animano la società contemporanea. Proprio tutti i principali contrasti.
Quindi quando alla fine La prima regola chiude esprimendo la sua tesi umanista (cioè il superamento del conflitto tramite il contatto umano e il rapporto uno ad uno, nell’indifferenza delle istituzioni), si ha l’impressione che a trovare finalmente un contatto non siano due solitudini, due fenotipi umani diversi o due persone che superano un conflitto per vincere i propri demoni, ma due istanze narrative, due elementi di una formula che vengono uniti a tavolino.