Prendi il volo, la recensione

Il viaggio infernale di una famiglia in Prendi il volo è un viaggio dentro mondi di altri film senza riuscire a trovare una sua originalità

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Prendi il volo, il film della Illumination in sala dal 7 dicembre

Nel mondo dei film Illumination tutto si svolge come si è già svolto in altri film. Più ancora della Pixar dei primi 10 anni, la replica di modelli e strutture del cinema dal vero e non, è la pietra su cui si fonda il grosso della loro produzione. In questo caso National Lampoon’s Vacation è il modello, lo stesso che ha usato un altro film animato recente I Mitchell contro le macchine, ovvero un’avventura familiare in un viaggio/vacanza disastroso dal quale uscire più uniti. Per le anatre protagoniste più che un viaggio è una migrazione, ma il risultato è lo stesso: non sono abituati a farlo, sono costretti a farlo e insieme vivranno avventure che faranno maturare i figli, li uniranno ai genitori e riaccenderanno la passione tra madre e padre.

Come se andassero all’essenza del genere family alla Illumination stavolta non scelgono di costruire una famiglia non convenzionale e farla viaggiare, come faceva L’era glaciale (che era dello studio Blue Sky ma sempre frutto della testa del medesimo produttore, Chris Meledandri), preferiscono prendere la famiglia tradizionale con anziano zio a carico e muoverla attraverso gli stereotipi del cinema. La città caotica, le gang di periferia, una specie di eremitaggio new age con finale a sorpresa e l’immancabile (visto gli animali protagonisti) chef stellato e violento che li vuole cucinare. Obiettivo: la Giamaica.

Il problema è semmai che questo viaggio familiare corretto, d’intrattenimento e bilanciato bene rispetto a una durata onesta, non ha niente per cui farsi ricordare. L’applicazione pedissequa della struttura base, gli archi narrativi convenzionali e una scrittura umoristica buona ma di certo né eccezionale né sovversiva, fanno assomigliare Prendi il volo così tanto ai suoi molti modelli da confonderne i tratti, nella stessa maniera in cui la scelta di design usuale (quell’art direction tra il plasticoso, il quasi-realistico e il pupazzoso che la Pixar decenni fa ha imposto) dà l’impressione che questa storia si svolga nel medesimo mondo di tutte le altre e non abbia niente di nuovo da dire ma anzi tutto di già sentito da ripetere.

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