Predator: Hunting Grounds, una bella idea che funziona solo a metà | Recensione
Predator: Hunting Grounds è un multiplayer asimmetrico che, grazie all’immaginario del brand a cui si rifà, allieterà gli irriducibili del genere e dei fan dei film
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Nella compagine dei multiplayer asimmetrici non militano campioni degni di lode, né di particolare attenzione da parte del pubblico. Genere sdoganato, tra grandi proclami e mirabolanti promesse, dal deludente e modestissimo Evolve, reo di essersi presentato al lancio con un gameplay tutt’altro che profondo, nel corso degli anni non sono mancati studi di sviluppo che hanno comunque voluto scommettere su un genere effettivamente ancora privo di un titolo di grande richiamo, remunerativo anche sul lungo periodo.
Come si può facilmente intuire, mentre il videogiocatore solitario indosserà i possenti panni dell’alieno tutt’altro che mosso da intenti caritatevoli e compassionevoli, altri quattro utenti saranno impegnati in un’operazione dalla dubbia entità morale in qualità di mercenari.
[caption id="attachment_212079" align="aligncenter" width="1090"] Il laser è un’arma dall’alto tasso distruttivo, ma utilizzandolo il Predator si esporrà al rischio di essere individuato[/caption]
Lo Yautja può avere la meglio solo abbattendo tutti i membri della squadra di mercenari. Per farlo potrà arrampicarsi sugli alberi, attaccare con possenti colpi a breve distanza, mimetizzarsi, utilizzare il laser che grazie al potere di fuoco può coinvolgere nell’esplosione due o più soldati.
Il trucco è muoversi senza essere visti, dosando l’energia necessaria per attivare l’occultamento, aspettando il momento migliore per colpire, eventualmente recuperando punti vita eliminando animali selvatici o i (deboli) soldati controllati dalla CPU.
Sì, perché, come detto, per il gruppo di mercenari la presenza del predatore è tutt’altro che calcolata, né rientra negli obiettivi necessari per completare la missione e sopravvivere.
Certo, eliminare il belligerante alieno, magari recuperandone il corpo intanto, evitando che venga distrutto dalla procedura automatica di autodistruzione, ulteriore feature che rende il titolo tanto interessante, frutta parecchi punti esperienza extra. Ciononostante, il modo più semplice per vincere è completando la missione impartita, difendendosi al contempo dagli assalti dello Yautja. Nelle foreste e giungle che compongono le tre mappe disponibili si nascondono basi, complessi, avamposti nemici. Luoghi da raggiungere per distruggere macchinari, recuperare documenti riservati, manomettere sistemi di sicurezza.
Non manca naturalmente la sorveglianza, più o meno ben armata ed equipaggiata, che rappresenterà un ulteriore ostacolo per il gruppo, la perfetta fonte di distrazione per permettere al Predator di effettuare rapidi attacchi.
La differenza tra le due fazioni, del resto, si misura anche nel tipo di telecamera utilizzato. Mentre il cacciatore godrà di una visuale più ampia, garantita dalla terza persona, i soldati avranno un campo ristretto dalla prima persona, con tutte le conseguenze del caso, dal momento che mentre si è impegnati in un conflitto a fuoco si può essere sorpresi alle spalle dalle lame dell’alieno.
Tra nuovi oggetti d’equipaggiamento da sbloccare e item estetici da applicare al proprio avatar, non manca nemmeno un accenno di RPG che infonde un minimo di progressione all’intera esperienza.
Sembrerebbero le premesse perfette per accogliere il primo multiplayer asimmetrico pienamente convincente, ma non è così purtroppo, viste le molte magagne che affliggono la produzione Sony.
Tanto per cominciare, allo stato attuale tre mappe sono poche. Nonostante incarichi e missioni tendano ad alternarsi, rendendo sulla carta imprevedibile il percorso e le tappe del manipolo di eroi, già dopo qualche partita non è difficile individuare i posti migliori per tendere agguati, crocevia pressocché immancabili di ogni match, territori di caccia perfetti per l’extraterrestre.
Anche il gunplay non brilla particolarmente. Il feedback delle armi è pessimo, l’assistenza alla mira è in certi casi invadente, l’I.A. dei soldati nemici talmente elementare da mortificare in più di un’occasione l’approccio strategico alla battaglia proposto dai videogiocatori più smaliziati.
Ciò che è peggio, il claudicante frame-rate rende complessa ogni operazione, soprattutto quando si tratterà di eliminare con un preciso colpo di laser i nemici dalla distanza.
[caption id="attachment_212080" align="aligncenter" width="1090"] Dividersi significa morte certa. Non c’è spazio per gli eroi solitari in questo gioco[/caption]
Se ci aggiungiamo un comparto tecnico tutt’altro che esaltante, per usare un eufemismo, resta da capire perché, nonostante tutto, non ce la sentiamo affatto di bocciare in toto Predator: Hunting Grounds.
Futuri aggiornamenti, tanto per cominciare, potrebbero facilmente risolvere le problematiche più gravi legate alla fluidità di gioco. Inoltre, con gli amici giusti, staccarsi dallo schermo diventa davvero difficile. Soprattutto chi ama il brand cinematografico si divertirà un mondo ad appostarsi in cima ad un albero aspettando il momento migliore per colpire. Allo stesso tempo, muoversi con circospezione nella giungla, aguzzando la vista e sobbalzando ad ogni rumore sospetto, regalerà tanti momenti di divertita tensione.
Nonostante i tanti difetti, insomma, Predator: Hunting Grounds è un multiplayer asimmetrico che con la forza delle sue idee, grazie all’immaginario del brand a cui si rifà, allieterà gli irriducibili del genere e dei fan dei film.
Guai però ad aspettarsi un prodotto capace di divertire per molto tempo. Anche in questo caso, i DLC potranno fare la loro parte, ma al momento la pochezza di mappe proposte rappresenta un limite evidente.